Giovanni Jannacopulos indicato quale “editore di fatto” di “Rete Veneta” e “Antenna Tre”, era stato accusato di minacce ai danni di Carlo Bramezza, potente direttore generale dell’Ulss 7 Pedemontana. Per i giudici i servizi televisivi non rivestono carattere diffamatorio
Si sgretolano i presupposti giudiziari dello scandalo editoriale-politico che alcuni mesi fa si è abbattuto sulle più importanti emittenti private del Nordest. Giovanni Jannacopulos, 81 anni, bassanese, indicato quale “editore di fatto” di “Rete Veneta” e “Antenna Tre”, era stato accusato di minacce ai danni di Carlo Bramezza, potente direttore generale dell’Ulss 7 Pedemontana, nominato nel marzo 2021 dal governatore Luca Zaia, dopo aver ricoperto un analogo incarico dal 2013 nell’Ulss del Veneto Orientale. In base alle accuse della Procura di Vicenza, ad ottobre il gip aveva applicato a Jannacopulos la misura cautelare del divieto “di esercitare l’attività di impresa di editoria” attraverso le due emittenti, che avevano scatenato una campagna di stampa contro la gestione sanitaria di Bramezza. Considerato molto capace dalla giunta regionale del Veneto, il manager pubblico all’inizio del 2022 ha ottenuto dal Tribunale di Treviso una procedura di liquidazione del patrimonio personale per 10 milioni 969 mila euro, a causa di debiti contratti verso le banche per investimenti immobiliari deficitari, in parte in Brasile, estranei però alla sua attività di direttore sanitario. A novembre il Tribunale del riesame di Venezia aveva revocato il provvedimento a carico di Jannacopulos. Le motivazioni del collegio presieduto da Licia Marino, depositate ora, sono quasi una sentenza di proscioglimento e gettano ombre sulla genesi dell’inchiesta, che non sarebbe nata da una denuncia da parte di Bramezza, ma da un’iniziativa della guardia di Finanza.
Non c’era minaccia – Secondo l’accusa le emittenti avrebbero messo in onda 400 servizi denigratori della gestione Bramenza per costringerlo “a compiere atti contrari ai propri doveri”. Inoltre, avrebbe detto a Marco Volpato, segretario del direttore generale, che le sue aspettative in merito alla posizione di un paio di medici non erano state esaudite e che avrebbe provveduto ad iniziare gli attacchi. Era stata anche intercettata una telefonata in cui Jannacopulos chiedeva al presidente Zaia di rimuovere Bramezza dall’incarico, ma il governatore leghista aveva rifiutato. L’avvocato Maurizio Paniz ha puntato su due argomenti: l’insussistenza della minaccia e il carattere non diffamatorio dei servizi delle emittenti dirette dal giornalista Luigi Bacialli. I giudici scrivono: “Visto che i servizi critici sono cominciati all’inizio del novembre 2021 e si sono protratti per 15 mesi, non si comprende quali sarebbero gli atti contrari ai doveri d’ufficio che Jannacopulus pretendeva fossero posti in essere”. I due fatti citati (spostamenti di personale medico o concessione di aspettative) risalgono infatti a prima di quella data e “deve escludersi che la messa in onda sistematica e ripetuta di servizi televisivi critici sia stata funzionale ad indurre Bramezza ad intervenire sui suddetti casi”.
Campagna di stampa feroce, ma legittima – I giudici ricordano come alla fine del 2021 le troupes televisive di Antena 3 e Rete Veneta furono allontanate dalla conferenza stampa di fine anno di Bramezza. “Da tale momento si apriva un vero e proprio conflitto tra la direzione delle testate e la direzione generale dell’Ulss 7. In ogni caso i servizi televisivi non rivestono carattere diffamatorio, o quanto meno nessuna contestazione viene mossa a Jannacopulos sotto tale profilo”. Hanno riguardato tre argomenti: la guida delle auto mediche da parte di personale infermieristico, la gestione del punto tamponi dell’ospedale di Bassano nel pieno della pandemia e la chiusura del reparto di senologia. I giudici affermano che “si trattava di servizi del tutto pertinenti, nel senso di rilevanti per l’opinione pubblica, al più faziosi, ma non diffamatori, esprimendo giudizi di valore sull’operato della dirigenza dell’Ulss 7”.
I debiti di Bramezza – L’avvocato Paniz aveva insistito sulla legittimità delle critiche a Bramezza per i debiti accumulati. I giudici scrivono: “Non priva di interesse pubblico deve considerarsi la vicenda relativa alla procedura per sovraindebitamento avviata dal Tribunale di Treviso. Se nel caso di un privato cittadino devono considerarsi fatti privati, non così è per un dirigente pubblico, le cui attività hanno un impatto rilevante sulla finanza pubblica. A maggior ragione quando l’esposizione sia di rilevante ammontare”. I giudici ammettono l’animosità di Jannacopulos e che lo scopo dei servizi era di “mettere pressione ai vertici politici regionali per ottenere la rimozione del Bramezza”, eppure non vi ravvisano illeciti: “Il giornalismo è pieno di campagna ostili verso questo o quel personaggio pubblico, ciò deve di ritenersi consentito in relazione alla linea editoriale prescelta dall’editore fintanto che i servizi, per quanto faziosi, non siano disgiunti dai fatti e non travalichino i limiti del rispetto”.
La genesi dell’inchiesta – Qualche dubbio viene sollevato sul fatto che Bramezza non ha inviato una denuncia esplicita. “Rimane dubbia anche la stessa genesi del procedimento – scrivono i giudici – che non prendeva avvio da una denuncia o segnalazione o esposto da parte del Bramenza o dell’Ulss 7, il che di nuovo conforta nell’idea che i servizi mandati in onda dalle emittenti fossero faziosi e ostili, ma non diffamatori. Al contrario, a quanto consta, il procedimento prendeva le mosse da una autonoma iniziativa della polizia giudiziaria che convocava il dottor Bramenza a sommarie informazioni testimoniali”. Ma da quelle dichiarazioni “anche a volerle considerare una forma di denuncia, non emerge in alcun modo una qualche forma di minaccia, né diretta, né indiretta, nei confronti del Bramezza”.