"Era il 1980 e dalle vetrine di King’s Road del primo store della stilista spuntavano chiodi di pelle, anfibi, scaldamuscoli di lana pieni di buchi, cappelli buffi e guanti senza dita..."
Ci vendevano anche il popper nel primo negozio di Vivienne Westwood a Londra. Una sostanza stupefacente racchiusa in boccettini di vetro. Se la annusavi sballavi. Era legale e odorava un po’ di colla. Era il 1980 e dalle vetrine di King’s Road del primo store della stilista spuntavano chiodi di pelle, anfibi, scaldamuscoli di lana pieni di buchi, cappelli buffi e guanti senza dita come quelli della vecchietta che chiede l’elemosina nel film Mary Poppins. O come quelli che indosserebbe La mano della Famiglia Addams.
Dentro era il caos: non come oggi. Apparentemente nessuna eleganza, colori dark e per chi entrava il senso di fare qualcosa di trasgressivo. Perché? Il punk contagiava tutti o quasi. Ovunque. Persino mia sorella. Chioma di due colori, minigonna di pelle, calze a rete rotte, orecchini a punta di lancia, maglietta strappata con scritte, sguardo rabbioso (le suore dell’ostello ci cacciarono perché lei e la sua amica macchiavano i cuscini con i residui di spray fucsia e verde sui capelli).
Che ci facevamo lì? Andavamo d’estate a imparar l’inglese lavorando nei ristoranti. Io da minorenne avevo trovato come ‘chambermaid’ (chi rifà le camere) in un albergo putrido e poi come cameriera al Pucci Pizza nella stessa King’s Road, meta di gente dello spettacolo. Avevo servito gli agnolotti surgelati persino a Simon Le Bon e gli erano tanto piaciuti da lasciarmi la mancia. Appena finito di lavorare si prendeva il taxi collettivo chiamandolo con la mano per indicare la direzione e si andava all’Hippodrome, la discoteca in Leicester Square dove altri italiani ci facevano entrare e ci davano da bere gratis. Nei locali di musica punk i Clash cantavamo “London Calling” e i Sex Pistols “God save the Queen”.
Che c’entra tutto questo con Vivienne Westwood? Eccome se c’entra. Londra era piena zeppa di ragazzi e ragazze punk e lo stile che lei stava lanciando era il simbolo di quella riflessione, di quel grido, di quella ribellione. Il suo compagno era il manager Malcom McLaren, il manager dei sex Pistols. Fra i tantissimi italiani che arrivavano nella capitale del Regno Unito la gran parte vestiva così e aveva il ghigno e l’inquietudine di chi non accetta le regole imposte dall’alto. Alcuni maschi della nostra penisola in età da naja scappavano a Londra per starci qualche anno ed evitare il servizio militare. Gli appartamenti economici da condividere si trovavano nelle zone periferiche, erano quelli con la moquette lercia e consunta, la doccia in comune e il telefono a gettoni sulle scale.
Povertà temporanea? Per chi ci stava solo qualche settimana e lavorava dove capitava sì. Restava però qualche sterlina per piccole cianfrusaglie al mercatino di Portobello, un vinile introvabile in Italia e un accessorio dalla Westwood. Per chi invece ci stava parecchio, fino al reperimento di un impiego tramite i job center (efficaci e funzionanti) era a disposizione una misura di reddito sociale, una sorta di reddito di cittadinanza.
L’atmosfera di quella Londra piovosa anche d’estate? Pazzesca: l’impressione era di essere atterrati in un mondo da raccontare subito. Immediatamente, se no spariva. Fra i dettagli di stile più buffi? Le ragazze nella tube con il trench e i collant color carne indossati sotto i sandali col tacco. Tutto qui? C’è di più. E non è un dettaglio. Era il 1980 e la manifestazione per il Gay Pride sembrava una sfilata calma e composta, of course. Ogni tot persone camminavano i poliziotti. Passava proprio da King’s Road e in prima fila uomini travestiti in abiti storici femminili mi chiesero di aderire: “Hey, Come with us!”. Gentilissimi. A differenza di mia sorella e della sua amica, che vestivano alla Westwood, io indossavo una gonna a palloncino verde prato comprata nei saldi del negozio di Fiorucci appena aperto a Londra. Avevo i capelli lunghi e rossi con il cerchietto. Sembravo Alice nel Paese delle Meraviglie. Perfetta fra i punk e gli uomini vestiti da regine.