Era evidente per chiunque, fin dalla formazione della nuova maggioranza e dall’insediamento del nuovo governo, che quando le promesse elettorali avessero mostrato tutta la loro irrealizzabilità l’estrema destra avrebbe attivato, per compattare il proprio elettorato, la leva fortemente identitaria dell’attacco ai diritti della persona e ai progressi, pochi invero, raggiunti in questi ultimi anni nel campo dei diritti civili.
La crisi economica crescente e la recrudescenza della pandemia hanno accelerato il redde rationem: l’inevitabile e netto ridimensionamento delle promesse di politica economica (dal pos alla flat tax e alle pensioni) e di contrasto al Covid (recente la reintroduzione dei controlli per chi proviene dalla Cina) è stato rapidamente seguito da una sequela di posizionamenti fortemente identitari.
Via quindi alle celebrazioni per la ricorrenza della fondazione del Msi con una rivendicazione delle radici messa in sordina in campagna elettorale, ai nuovi decreti sicurezza con le forti limitazioni all’attività di salvataggio in mare da parte delle Ong e – immancabili come l’indigestione dopo il pranzo di Natale in famiglia – a una raffica di interviste rilasciate dalla ministra Eugenia Maria Roccella su temi cari al loro elettorato più radicale.
Quanto preoccupante potesse essere la nomina della portavoce del Family Day al ruolo così delicato di ministra della Famiglia e delle Pari Opportunità veniva ignorato solo da chi non voleva vederlo. La ministra ha riservato le ultime dichiarazioni mediatiche al fatto che i bambini nascano da un uomo e una donna, al fine di confermare, anche a nome del ministro dell’Interno, che nelle carte di identità dei minori verrà confermata la dicitura “padre/madre” anziché la previgente e inclusiva “genitori”, con la conseguenza voluta di privare quelle bambine e bambini e le loro famiglie del diritto alla vita familiare e alla mobilità.
Questo nonostante una sentenza del Tribunale di Roma abbia dato invece ragione a due madri che chiedevano di essere qualificate come genitori senza che una delle due dovesse dichiarare il falso sul documento d’identità della figlia qualificandosi come “padre”: ma nell’impostazione della destra e della ministra la sentenza opera solo in relazione al caso specifico e chi vuole ottenere altrettanta giustizia dovrà promuovere ulteriori ricorsi. Un modo per scoraggiare i ricorsi creando una linea di disuguaglianza che passa attraverso la capacità economica di affrontare una causa assai costosa.
Ancora di più preoccupa quanto la stessa ministra ha dichiarato in un’altra intervista, in cui utilizza la “condizione di povertà della donna” per negare che le sue decisioni riguardo a una maternità libera e consapevole siano realmente libere e prive di condizionamenti economici.
Un argomento, quello della povertà e della conseguente incapacità di autodeterminarsi, da tempo tirato in ballo dall’area politica e culturale a cui appartiene la ministra, in tutte le situazioni in cui si vorrebbe negare alle donne (e in generale alle persone) la possibilità di decidere liberamente del proprio corpo: accade con l’interruzione volontaria della gravidanza, così come con il tema della gestazione per altri e con quello del sex work. Bisogna avere chiaro che se si accetta che il principio valga in un caso, vale per tutti: l’autodeterminazione infatti è sempre oppure non è.
Ma la povertà è solo la foglia di fico dietro cui questa destra nasconde la volontà di proibire alle persone tutto quel che contrasta con i propri principi attivando una commistione tra legge, religione e morale di antica memoria. Come se l’affrancamento dallo stato di povertà si realizzasse attraverso la proibizione di disporre di sé e del proprio corpo anziché attraverso strumenti di contrasto al fenomeno: fa sorridere che queste roboanti dichiarazioni provengano dallo stesso governo che ha dichiarato guerra ai poveri con la cancellazione del reddito di cittadinanza, unico strumento oggi esistente.
Come se mettere sullo stesso piano situazioni differenti (caratterizzate le une da libera scelta e le altre da costrizione) non indebolisse proprio la lotta contro la costrizione e la tratta di esseri umani. Come se non fosse chiaro che qualunque proibizionismo, lungi dall’eliminare o governare i fenomeni, li confini in un’area grigia e indistinta di illegalità dove a pagare i prezzi più elevati sono le persone più fragili: il tutto in nome di una volontà di dominio sui corpi delle persone che azzera tutto il resto.