Le due Italie si vedono plasticamente durante queste vacanze di Natale: sul gradino sociale più alto i vacanzieri della neve, che nessun aumento di skipass e degli alberghi ha fermato, e verso i gradini più in basso le più vaste fasce così segnate dall’inflazione, dai rincari dell’energia e dei beni alimentari.

L’anno che si sta per aprire segnerà l’ingresso nella soglia di povertà di altre 760 mila persone (287 mila nuclei familiari), di cui mezzo milione al Sud, secondo un recente rapporto Svimez, portando l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta a crescere fino all’8,6% (con notevoli divari territoriali: +2,8 punti percentuali nel Mezzogiorno, contro lo 0,3 del Nord e lo 0,4 del Centro).

Stando a una nota dell’Agi, invece, le località di montagna dell’arco alpino stanno per registrare il tutto esaurito, dopo un ponte dell’Immacolata da record, soprattutto in Dolomiti, nonostante fossero aperti solo la metà degli impianti. Gongola Valeria Ghezzi, presidente dell’Associazione nazionale esercenti funiviari (Anef): “La neve è stata fatta tutta, dal Friuli al Piemonte, e per fortuna non abbiamo ancora visto le bollette energetiche che saranno mostruose negli importi. Detto ciò, c’è voglia di montagna e di sci, anche se c’è stato un aumento dei prezzi, limitati tra il 5 ed il 10% sugli impianti, perché non possiamo caricare tutto il costo sul cliente, mentre alberghi e ristoranti hanno avuto aumenti più consistenti, anche del 15%”. Naturalmente, legge le previsioni del tempo anche Ghezzi, perciò dopo il trionfalismo arrivano i dubbi: “In questi giorni fa tanto caldo, la neve programmata resiste anche a temperature un po’ più elevate di quella naturale, ma se salgono troppo sopra lo zero cominciano i problemi che già si vedono sugli Appennini, dove è quasi tutto chiuso, a differenza dell’arco alpino”.

I costi sociali, caricati sulla collettività visto che gli impianti da sci vivono di contributi pubblici, sono sempre più considerevoli. Uno studio dettagliato del centro di ricerche di Bolzano Eurac suggerisce di verificare fino a quando sarà tollerabile, per l’agricoltura e gli altri comparti produttivi, lo spreco energetico dello sci a neve programmata: “dal 2007 al 2016, i cannoni da neve in Alto Adige hanno consumato dai cinque ai dieci miliardi di litri d’acqua a stagione e, insieme agli impianti di risalita, dai 90 ai 170 milioni di kWh di elettricità, vale a dire tra il 6 e addirittura il 12 per cento del consumo annuo di acqua potabile, e tra il 2,9 e il 5,4 per cento del consumo annuo di elettricità di tutta la provincia”. Questi dati sono appena stati rilanciati in un pamphlet scientifico de ‘Il Tascabile’ dell’Istituto Treccani, intitolato sic et simpliciter ‘Contro l’industria dello sci’, con un sommario che non lascia dubbi: ‘Per questioni economiche e culturali, la gestione imprenditoriale e politica delle Alpi è ancora colpevolmente indifferente alla crisi climatica’.

Già, quello che crea sconforto è proprio la sostanziale indifferenza ecologica dei governi e delle opinioni pubbliche, maturata a sorpresa proprio dopo un breve periodo di maggiore sollecitudine, legato allo sviluppo dei nuovi movimenti, e guarda caso dopo la pausa pandemica e con una guerra aperta nel cuore dell’Europa con il rischio costante di una catastrofe nucleare. Chissenefrega, l’importante è sciare!

Dimenticati purtroppo i momenti apicali di gruppi come Mountain Wilderness, persino il mondo degli appassionati di montagna mostra una certa stanchezza, per non dire delle insensibilità assolute delle cosiddette élite alpinistiche (che continuano, come se niente fosse, a imbrattare campi base e a far ballare in giro aerei, elicotteri e droni) nonostante ci siamo avviati verso quella che il Wwf sostiene essere ‘la sesta estinzione’, dato che il global warning causa una pesante perdita di biodiversità: mancherebbero già all’appello quasi il 20 della fauna selvatica dell’Europa e dell’Asia centrale, il 94 per cento addirittura in America Latina e nei Caraibi, per non parlare degli ecosistemi d’acqua dolce, dove la percentuale d’estinzione è svettata verso l’83.

Certo, anche le nuove forme di lotte più estremiste, come l’imbrattamento di opere d’arte da parte di militanti ecologistici, non contribuiscono alla causa. Anzi, stanno producendo addirittura l’effetto opposto, secondo uno schema analogo a quello che si sviluppò negli anni del terrorismo. La domanda che apre l’anno è dunque: da dove ripartire per salvare il pianeta?

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