Il centro di Matteo Renzi e Carlo Calenda, la maggioranza al completo, la stessa premier Giorgia Meloni: il fronte che vuol cancellare la riforma Bonafede della prescrizione è ampio e compatto. L’ordine del giorno che impegna il governo in questo senso, a prima firma di Enrico Costa (Azione), è passato alla Camera con il sì unanime del centrodestra e presto potrebbe trasformarsi in legge. I garantisti all’italiana non hanno dubbi: la norma della Spazzacorrotti che stoppa dopo il primo grado la corsa all’estinzione dei reati è sbagliata, “una schifezza” (Matteo Richetti) addirittura una “mostruosità giuridica” (Pietro Pittalis, Forza Italia). Ma c’è chi la pensa al contrario. E non sono solo le vittime dei reati che chiedono giustizia, ma anche gli esperti della Commissione europea. Che nella relazione economica sull’Italia di due anni fa si complimentavano con il governo Conte I per la legge, sollecitata da tempo dagli stessi organi comunitari in funzione anticorruzione.
L’espressione usata dall’esecutivo di Bruxelles è cristallina: quella di Bonafede è “una riforma benvenuta, che blocca la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, cosa che è in linea con una raccomandazione specifica per il Paese formulata da tempo”. E infatti tre anni prima la stessa Commissione, nel rapporto semestrale dedicato ai Paesi dell’Eurozona, denunciava che in Italia “il termine della prescrizione ostacola la lotta contro la corruzione“, perché “incentiva tattiche dilatorie da parte degli avvocati” e il risultato è che “un’alta percentuale di cause” si estingue “dopo la condanna di primo grado“. Quasi contemporaneamente il Greco, l’organo anticorruzione del Consiglio d’Europa, registrava in Italia “l’allarmante” numero dei processi non conclusi, suggerendo proprio la soluzione adottata dal governo gialloverde: mettere fine alla prescrizione dopo la prima sentenza. Una conquista su cui ora il governo è pronto a fare dietrofront.