Solo 9 consiglieri (alcuni del Pd, altri del Terzo Polo) su 45 hanno votato contro la norma salva-poltrone passata con scrutinio segreto e che serve per tenere in piedi il consiglio anche in caso di passo indietro anticipato del governatore. Tutti parlano di una iniziativa che serve a mettere il bastone tra le ruote all'attuale sindaco di Bari, indicato come successore naturale dell'ex pm in via Gentile e il cui mandato a Palazzo di città finirà 18 mesi prima delle regionali. Il diretto interessato la definisce "legge contro la decenza", mentre chi si è opposto ha già in mente la contromossa: presentare un atto per abolire la norma incriminata, in modo da stanare chi l'ha votata in silenzio e nell'anonimato
Dieci mesi e dieci stipendi in più anche se il presidente della Regione dovesse dimettersi anticipatamente. È il regalo di Natale che si sono concessi i consiglieri pugliesi votando in aula tra il 20 e il 21 dicembre scorsi un emendamento alla legge di Bilancio regionale che garantisce loro la permanenza sulle poltrone, e quindi anche il salario da circa 10mila euro al mese, nel caso in cui la legislatura regionale dovesse interrompersi prima della sua fine naturale prevista nel 2025. La nuova legge, approvata a scrutinio segreto da quasi tutti i presenti in aula, è già stata ribattezzata “anti Decaro” in riferimento ad Antonio Decaro, attuale sindaco di Bari e già designato da molti come successore di Michele Emiliano nella prossima corsa per il rinnovo della giunta pugliese. La guerra totale nel Consiglio Regionale Pugliese è partita qualche ora dopo: “decariani” (lo schieramento di cui fanno parte i fedelissimi del sindaco e i consiglieri del Terzo Polo) contro il resto del mondo. Compreso il Partito Democratico di cui lo stesso Decaro fa parte. Una forsennata caccia alle streghe per capire chi ha voluto affossare il nuovo “sindaco di Puglia” nascondendosi nel segreto del voto. Sotto accusa, però, non è finito solo il Pd: anche il M5s che fa parte della coalizione di maggioranza, al di là delle dichiarazioni fatte quando la vicenda è diventato un caso, potrebbe aver votato a favore della leggina. Del resto i numeri non tornano: i contrari in aula sono stati solo 9, numero più basso della somma fra i consiglieri considerati vicini a Decaro e quelli del Movimento 5 stelle. La matematica, almeno lei, non mente.
LA GENESI
Il mandato di Antonio Decaro come sindaco del capoluogo pugliese, finirà tra 18 mesi, a maggio 2024, circa un anno prima delle nuove elezioni regionali che, come detto, si terranno nel 2025: un lasso di tempo evidentemente troppo lungo nell’agone politico perché Decaro riesca a mantenere i grandi consensi ottenuti in questi anni a Bari e anche le numerose simpatie guadagnate nel resto della regione. Anche lo stesso sindaco lo avrebbe detto qualche tempo fa in una riunione con i suoi fedelissimi “decariani”: non è opportuno stare un anno senza fare niente e quindi, se proprio si deve candidare alla Regione, Michele Emiliano deve candidarsi altrove e dimettersi. Le dimissioni del Governatore, quindi, avrebbero comportato la chiusura anticipata della legislatura e il ritorno a casa di molti consiglieri certi che, con la crescita nazionale del centrodestra, difficilmente avrebbero mai rivisto uno scranno in via Gentile: un campanello d’allarme che avrebbe portato mani sconosciute a preparare l’emendamento di cui nessuno si assume ufficialmente la paternità, ma che alla fine dei conti avrebbe garantito a tutti una morte politica forse meno dignitosa, ma sicuramente più remunerativa. E così, quasi misteriosamente, in aula è arrivato l’emendamento “salva poltrone”: ufficialmente a presentarlo è stato Gianfranco De Blasi, esponente della Lega e presidente della VII commissione che si occupa di “Statuto, Regolamenti, Riforme Istituzionali, Rapporti Istituzionali, Sistema delle Autonomie Locali”. La modifica alla legge elettorale pugliese, però, è stata presentata da De Blasi non come esponente del Carroccio, ma come presidente della commissione, precisando come “tutti i partiti fossero d’accordo”. E infatti la votazione è stato un successone. Fino a quando la notizia non è finita sulla stampa.
LE REAZIONI IN AULA: VOTI PRO E CONTRO
Che i consiglieri si sentissero su un pavimento di specchi si è capito subito, quando, nella lunga notte del pasticcio – i lavori del Consiglio sono durati infatti due giorni – è stato chiesto il voto segreto solo su quell’emendamento, dei 103 totali presentati alla manovra. Ma nessuno tra i 37 favorevoli ha preso la parola per spiegare ai pugliesi il senso di quella leggina. Nemmeno uno su 45 presenti in quel momento. Le uniche posizioni sono quelle espresse dal proponente De Blasi sulla relazione d’accompagnamento: “L’automatico scioglimento del Consiglio regionale per dimissioni volontarie del Presidente, apparirebbe eccessivamente gravoso per il proseguimento del programma di governo condiviso in sede di insediamento del Consiglio regionale”. Stop. Non una parola di più. Dei nove voti contrari, in quattro si sono opposti apertamente. Tra questi il decariano del Pd, Donato Metallo che, in aula, bocciando il voto segreto come “un atto vigliacco” ha definito il provvedimento “un modo per prendere sette mesi di stipendio e portare a casa 96mila euro. Come tutte le specie che si adattano e cercano di conservarsi, cerchiamo di perpetuare la specie e di stare qui sette mesi altri”. Sette mesi ai quali si aggiungono quelli di campagna elettorale e si arriva così a quasi dieci mesi.
LE REAZIONI
A ridimensionare la misura, durante i lavori dell’aula, è stato proprio il vicepresidente della Regione, Raffaele Piemontese, anche lui esponente di spicco del Partito democratico: la nuova legge elettorale affida proprio a lui il compito di traghettare la giunta, e quindi tenere in vita il Consiglio, per i mesi di “sede vacante”. Nessuno ha la certezza che Piemeontese abbia votato a favore, ma le sue dichiarazioni a difesa dell’emendamento sono note a tutti. E anche la logica, talvolta, non sbaglia. Dall’opposizione, Fabiano Amati, uno dei 9 contrari e da poco transitato dal Partito Democratico ad Azione di Carlo Calenda, ha tirato la giacchetta alla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni: “Noi ci siamo chiesti, si può piegare una istituzione come la Regione ad una disputa politica fra poche persone? Questo è indecente. Spero che anche il presidente Meloni intervenga sui suoi, li richiami e chieda cosa stanno facendo. Non si è mai vista una opposizione che vuole allungare la vita agli avversari”.
LA VENDETTA SUL BILANCIO E IL POMPIERE EMILIANO
In aula la questione non si è ridotta al solo voto sull’emendamento. I decariani hanno infatti apertamente sfidato la maggioranza annunciando di non poter votare il bilancio della Regione Puglia se quell’emendamento fosse passato. E difatti, nella tarda sera del secondo giorno di lavoro, al momento di approvare l’intera legge di bilancio, i fedelissimi del sindaco di Bari hanno abbandonato l’aula. Il governatore Emiliano, invece, ha provato a spegnere l’incendio: in aula non s’è visto fino alla conclusione della due giorni, quando l’emendamento era già stato votato, ma una volta arrivato ha preso fermamente le distanze da quanto accaduto. “Chi l’ha detto che mi devo dimettere? Se la cantano e se la suonano da soli, da una parte e dall’altra. Hic manebimus optime, cioè io sto qua – ha detto ai cronisti a margine dell’assemblea – e sono il presidente della Regione Puglia”.
LA REPLICA DI DECARO
Una legge “anti-decenza” l’ha definita Decaro in un lungo post su Facebook, riferendosi all’approvazione “con votazione segreta” di una norma che garantisce ai consiglieri “altri 10 mesi di mandato (e di stipendio) in caso di dimissioni del presidente e di cosa parlano tutti?”. Nel suo lungo messaggio, il primo cittadino di Bari ha spiegato che “invece di pensare al futuro di Decaro qualcuno ha provato a spiegare ai cittadini pugliesi come sia possibile che in un periodo come questo, di difficoltà per tanti, consiglieri di maggioranza e di opposizione si trovino d’accordo nel garantirsi altre dieci buste paga da 10mila euro ciascuna oltre la fine naturale del loro mandato?”. Decaro ha poi aggiunto che “in quanto al mio futuro, non c’è molto da dire. Ho altri diciotto mesi per fare il sindaco di Bari nell’unico modo che conosco: lavorando con impegno ogni giorno insieme ai cittadini. Perché – ha scritto ancora – le cariche pubbliche vanno onorate con disciplina e onore: non sono assicurazioni sulla vita né posti di lavoro a tempo indeterminato. Così come non esistono ruoli predestinati né futuri già scritti”. Il sindaco ha poi raccontato un episodio: “Ieri, passando dalla spiaggia di Pane e Pomodoro, mi è capitato di leggere questa frase: ‘facit l’amooor non sit facenn la uèrr’, fate l’amore non fate la guerra. L’ho trovata particolarmente azzeccata per questo mondo strano. E ho sorriso pensando che spesso le risposte alle domande più complesse ce le danno i cittadini, con il loro buonsenso. E se deciderò di tornare a fare l’ingegnere all’Anas – ha concluso – lo farò col sorriso sulle labbra. Non sarà certo un dramma per nessuno”.
LA CONTRORIFORMA
La questione, però, non è affatto chiusa e, anzi, è destinata a montare con ancora più prepotenza. I decariani, infatti, sostenuti ancora da Azione, stanno preparando una contro-riforma che punta ad abrogare l’emendamento della discordia e tornare così al testo precedente. Ma non arriveranno in aula di soppiatto. “Chiederemo la firma di tutti i consiglieri – annuncia Metallo – affinché possano sostenerla. È una questione di chiarezza, si risponde agli elettori. Per noi Decaro è un riferimento, certo, ma in questo caso non c’è solo lui, è una questione di principio e va affrontata fino in fondo a carte scoperte”. E a carte scoperte, pare, arriverà anche il Pd. Il capogruppo Filippo Caracciolo a ilfattoquotidiano.it ha chiaramente dichiarato che “il gruppo del Partito democratico, sul tema, non proporrà nessuna nuova legge. Chi lo farà, lo farà a titolo assolutamente personale. Ma sappia che troverà la contrarietà del gruppo”. Insomma la campagna elettorale in Puglia è lontana, ma la guerra è già iniziata.