Il secondo capitolo della saga politica del 2022 prende le mosse dagli strascichi dell’elezione del presidente della Repubblica. Da tempo il Movimento 5 Stelle coltiva un’anima critica al proprio interno, una voce di dissenso che si esprime pubblicamente. Luigi Di Maio invoca fin da gennaio la necessità di un chiarimento. Parallelamente parte la battaglia legale che mina la leadership di Giuseppe Conte. Il Movimento è costretto a compiere una serie di passi formali, a ripetere votazioni per legittimare pienamente la figura dell’ex premier. Un movimento 5 stelle che appare indebolito, in continuo avvitamento su sé stesso. Un invito a nozze per gli avversari politici che non mancano di mettere il dito nella piaga, sperando di indebolire quella che al momento era ancora la principale forza politica del paese.
Nel frattempo il centrodestra cerca un nuovo centro di gravità, con un Matteo Salvini sempre più lacerato, criticato all’interno del partito e della coalizione per un problema che lo affligge da sempre: la mancanza di coerenza. Campionessa di coerenza del centrodestra o del destra-centro è Giorgia Meloni che va delineandosi in maniera sempre più chiara e netta (secondo i sondaggi e secondo l’opinione pubblica) come la leader naturale della coalizione.
Con la guerra in corso, la crisi energetica che inizia a farsi sentire, la crisi dei prezzi che mostra i suoi effetti, Luigi Di Maio lascia il Movimento 5 Stelle e si porta appresso una nutrita schiera di pentastellati critici con la nuova leadership di Conte (nel frattempo riaffermata da voti e carte bollate e ri-benedetta da Beppe Grillo).
Il resto della storia è una rapida discesa agli inferi. Uno scontro tra draghiani e anti-draghiani. Antigovernisti e governisti logori. Tutti contro tutti con un’unica certezza: troppi hanno voglia di andare al voto. Chi per capitalizzare il consenso. Chi per arginarne l’emorragia. Alla fine a staccare la spina è una miscela di fattori. Lega e Forza Italia chiedono un rimpasto di governo senza il M5S. Il Movimento dal canto suo scrive un elenco di 9 punti che Draghi non può soddisfare in pieno. E Draghi stesso non vuole un governo senza M5S. Insomma un’intreccio di veti impossibile da districare. Draghi si dimette, al voto di fiducia in Aula troppi partiti non partecipano: è la fine. Mattarella scioglie le camere: parte la campagna elettorale… Il resto lo vedrete nel terzo episodio.