Senza ombra di dubbio a emozionare più a fondo sono stati in particolare due spettacoli, pur così diversi nello stile e nell’impostazione, ‘Amore’ di Pippo Delbono e ‘Billy's Violence' di Need Company
È stato un altro anno ancora profondamente segnato dal Covid, anche a teatro. Ma non solo in negativo. Alcuni autori hanno anzi straordinariamente colto l’occasione dei lockdown per offrire a noi spettatori appassionati nuove occasioni indimenticabili. Senza ombra di dubbio a emozionare più a fondo sono stati in particolare due spettacoli, pur così diversi nello stile e nell’impostazione, ‘Amore’ di Pippo Delbono e ‘Billy’s Violence’ di Need Company.
Il titolo fin quasi banale scelto da Delbono, ‘Amore’, poteva creare una barriera, figurarsi l’idea che sulla carta molto ruotasse intorno all’esibizione dal vivo di un cantante tradizionale di fado, che a prima vista sembrava un Claudio Villa portoghese. Perciò alcuni sono accorsi a vederlo titubanti, ma ci ha pensato subito Delbono, attore-autore-regista grandissimo, e non da ieri, a raddrizzare le bocche storte, e a riempirle di lacrime con un racconto ‘a cuore aperto’ di quel che resta dei sentimenti quando una pandemia si porta via la persona più cara, oltre alla libertà di tutti (confesso: l’ho visto due volte di seguito, con la gioia di pagare tutti e due i biglietti, e la seconda è stata ancor più emozionante).
Anche ‘Billy’s violence’, una sorta di rilettura antologica della violenza nel teatro di Shakespeare, riesce ad arrivare dritto al cuore e al cervello del pubblico, per la maturità così ben raggiunta dal linguaggio, che pur è stato definito ‘post-teatrale’, di Jan Lauwers, un vero e proprio maestro della scena europea. In una stagione e poco più, Lauwers è stato in grado di portare in scena questo omaggio a William Shakespeare con la sua Need company (ora sta allestendo il secondo atto, ‘Billy’s Joy’), di preparare per il festival di Salisburgo la riproposta dell’opera ‘Intolleranza 60’ di Luigi Nono e d’inventare con la Klangforum Ensemble di Vienna uno splendido collage di musica contemporanea sull’amore, ‘Amopera’.
Certo, per vedere Need Company bisognava andare a Bolzano per il festival germanofono Transart, ed è un miracolo pure che Delbono possa ancora lavorare per Emilia Romagna Teatro (anche se questo stesso ‘Amore’ è nato già come prodotto internazionale, con parecchie date per la tournée all’estero). A proposito di ERT, è stato pregevole il debutto alla regia di Fausto Russo Alesi, un ottimo attore che ha scelto in qualche modo di seguire la linea consolidata di un teatro artistico ‘povero’, per far raccontare a una bella compagnia di giovani il capolavoro di Turgenev ‘Padri e figli’, con tanto di traduttore-esperto sul palco, Fausto Malcovati. Anche in questo caso, quattro date in provincia e poco più…
Assolutamente da restare a bocca aperta, anche lo spettacolo ecologista ‘Are we not drawn onward to new erA’ di Ontroerend Goed, direttore artistico e regia Alexander Devrient, plauso speciale per l’innovazione e la magia, già suggerite dal titolo palindromo (non aggiungiamo nulla per non rovinare la sorpresa a chi cercherà d’andare a vederlo, ah, ah, ah: quest’altra straordinaria compagnia belga per ora ha in agenda solo un nuovo show, ‘Funeral’ e le date più vicine sono per la primavera avanzata in Svizzera o in Francia). Beccati al volo, gli Ontroerend Goed, in apertura del sempre interessante festival FOG di Triennale Teatro a Milano.
Almeno tre le citazioni con lode alla Biennale di Venezia Rot di ricci/forte: per l’unico premio teatrale davvero meritato dell’anno, il Leone d’Oro a Christiane Jatahy, occasione in cui la regista brasiliana adottata da Parigi ha riproposto ‘The Lingering now’/‘Le Present qui Déborde’, ultimo lavoro teatrale prima del trittico politico militante anti-Bolsonaro; per aver presentato un’altra regista donna di prim’ordine, Yana Ross, impegnata in una rilettura del testo di David Foster Wallace ‘Brief Interviews with Hideous Men’ con il titolo di ’22 Types of Loneliness’, ovvero una versione fedele e intrigante della ‘Brevi interviste con uomini schifosi’; infine per lo strepitoso ‘Triptych’ dei Peeping Tom, deo gratias!, una delle più straordinarie performance post-Duemila (in Arsenale a poche settimane dal passaggio in Reggio Emilia e dopo un’altra uscita a Rovereto).
Breve nota finale sugli interpreti: il meglio del 2022 è tutto al femminile, con Chiara Michielini, magica Ariel nella più che suggestiva ‘Tempesta’ di Alessandro Serra, che si è confermato il miglior regista italiano; ex aequo con Anna Coppola, spettro e primattore in un notevole ‘Hamlet’ di Antonio Latella, vecchia balia e narratrice in ‘Zio Vanja’ di Simona Gonella. Brave, brave, bravissime, Anna e Chiara: altro che le vedette da premi Duse e Ubu… (Paolo Martini, dramaholic.it)