Il Papa emerito Joseph Ratzinger è morto. Mentre scorre la notizia non posso fare a meno di notare una frase ridondante che appare su ogni media: ‘Benedetto XVI rifiuta il ricovero’. Saggio, e al contempo fortunato, poiché ha potuto permettersi il privilegio di rifiutare inutili cure e crudeli accanimenti terapeutici mentre lasciava le mani dei cari che lo hanno circondato e protetto sino a oggi. Il corpo del Papa sfugge alle nostre umane e terrene tribolazioni. Una su tutte: doversi scontrare contro la ferocia ottusa di chi, in nome del medesimo Dio al quale Benedetto ha dedicato la sua vita, a volte si oppone alla scelta di potersene andare tra le proprie mura di casa, ospedalizzando ciò che potrebbe avvenire intramoenia: la morte. La stessa deriva confessionale che obbliga tanti uomini e donne ad andare oltralpe per porre fine ad una vita non piu’ degna di tale nome.
Ricordo la stanza che affacciava sul mar Tirreno quando andavo a trovare mio padre, obbligato ad assistere all’illogica agonia di un corpo ormai spento ed esausto, una mente evaporata. Ho in mente il rumore del vuoto nel quale cadevano le mie richieste di porre fine agli inutili trasporti, alle flebo, ai fori nella pelle oltremodo violata da aghi privi di un qualsiasi valore terapeutico. Chiedevo e speravo che tutto questo voler nutrire un corpo che ormai chiedeva di riposarsi finisse. Volevo che egli potesse fare ritorno a casa e spegnersi avendo negli occhi il colore pastello delle pareti, il verde del quadro, la bellezza dell’alta Toscana che prorompeva dai vetri. E invece no. C’erano i ‘protocolli da seguire’, c’era l’ottusità di un sistema cieco alla sofferenza impersonificato da un’infermiera che mi gridava ‘ma non vede che siamo alla fine?! Ora dobbiamo somministrare questo e quello, combattere la polmonite e il Covid’, ospiti arrivati dopo il ricovero. Continuare, continuare, omaggiare un sistema acefalo che non prevede il libero arbitrio, non concede ad un corpo di fermarsi e, per quello che ho visto, mette ai margini la volontà di sanitari compassionevoli, che pure esistono ma non possono disobbedire. Due mesi di strazio, di inutile sopravvivenza corporea, di trasporti in ambulanza in ogni dove. Poi, una mattina, la telefonata liberatoria ‘venite, è morto’.
Un retaggio confessionale innerva un sistema che, servendosi della miglior medicina attuale, di un personale preparato e di cure all’avanguardia, non concede al fisico di arrendersi quando è tempo di farlo. Nessun Dio vorrebbe questo, e Benedetto lo sapeva bene. A Ratzinger è stato altresì risparmiato il doversi presentare davanti alla giustizia terrena nella sua Germania: avrebbe infatti dovuto difendersi dall’accusa di non essere intervenuto contro un prete pedofilo seriale quando era arcivescovo di Monaco di Baviera e Frisinga. Dio mi salvi dalla canea forcaiola di quel mondo che lo voleva semplicemente ‘alla sbarra’. No! Le cose sono sempre più complesse di come appaiono. Benedetto XVI aveva accettato di produrre una memoria per fare luce sui fatti, una luce puntata su quell’immane tragedia che è stata la diffusione della pedofilia nella Chiesa. Sarebbe stato un momento importante, simbolico, il possibile inizio di un risarcimento morale per le vittime di abusi, un alba di luce per poter dare voce al dolore, al dramma, agli affanni, alle vite distrutte di coloro i quali finirono tra le gambe degli orchi vestiti di nero. Affanni che conosco bene: per il mestiere che faccio io quelle anime corrotte le vedo, le ascolto. Ne conosco i turbamenti, le vite interrotte, le pene, le agonie. In questi anni di lavoro posso dire di aver solo intravisto, in seduta, la dimensione del loro inferno. E anche a costoro veniva detto che ‘ Dio lo vuole’, mentre perversi servitori di una Chiesa che non li ha mai davvero voluti isolare e punire corrompevano le loro anime e ne profanavano i corpi.
Ho rispetto per quest’uomo che aveva accettato di comparire davanti alla legge degli uomini. Egualmente forte, immenso, smisurato, vitale è il desiderio di risarcimento per le vittime degli abusi pedofili che ancora hanno sete di giustizia terrena. Un dramma, un cancro, una piaga che è stata forse tra le concause che portarono Ratzinger a dimettersi dal Soglio Pontificio. Chissà che in un altrove non esista davvero un Dio che sfugge ai trattati di teologia e rifugge l’accanimento terapeutico verso chi sta per chiedere la sua esistenza terrena. Chissà che non ci sia, da qualche parte, quel Dio che usa la verga per chi ha abusato dei bambini mettendo in pratica quelle parole che tutti noi abbiamo letto in un momento della nostra vita ‘Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare’. Per chi invece è in cerca della legge degli uomini, e anela ad una via d’uscita dall’inferno personale dell’abuso, dal 2023 sarà operativa una neonata associazione, chiamata Prometeo, costituita da un gruppo di professionisti che cercherà di aiutare e sostenere le vittime di abusi sessuali avvenuti in seno alla Chiesa. Questa la loro e mail: info@prometeogiustizia.it