Moda e Stile

“Taglie sempre più striminzite? Nel lusso sono sempre state piccolissime ma ora è così anche da Zara: vi spiego perché”. L’analisi della personal shopper

Anna Maria Lamanna è conosce le collezioni dei brand come se fossero il suo guardaroba. D'altra parte, la moda è sempre stata parte della sua vita, una passione che è diventata una professione, prima tra le file di alcuni dei grandi brand del Made in Italy e poi come personal shopper. Le abbiamo chiesto di aiutarci a fare il punto della situazione sul complesso tema delle taglie degli abiti. Raccontateci la vostra esperienza a redazioneweb@ilfattoquotidiano.it

di Ilaria Mauri

“42. 46, 44, 38…sui cartellini degli abiti oggi potrebbero scrivere anche ‘cippalippa’ e sarebbe uguale. Questi numeri non hanno più alcun senso perché non esistono misure di riferimento universalmente codificate. Sono i brand a decidere a tavolino quanti centimetri assegnare ad ogni capo”. Anna Maria Lamanna è una che conosce le collezioni dei brand come se fossero il suo guardaroba. D’altra parte, la moda è sempre stata parte della sua vita, una passione che è diventata una professione, prima tra le fila di alcuni dei grandi brand del Made in Italy e poi come personal shopper. Una professione che, da pioniera, ha importato in Italia dai suoi numerosi viaggi di lavoro negli Statu Uniti nel lontano 2004, quando nel nostro Paese ancora non esisteva. “Mi riconosci perché sono vestita di rosa”, mi ha scritto in occasione del nostro appuntamento: e, in effetti, pur tra la moltitudine di persone che affollavano piazza Duomo, non ho avuto dubbi, l’ho riconosciuta al primo colpo. La sintonia tra la sua personalità e il suo abbigliamento è totale ed esemplare, ma non le ho chiesto di incontrarci per una consulenza, bensì per avere un confronto sul delicato tema delle taglie degli abiti di cui noi di FqMagazine vi abbiamo parlato già nelle scorse settimane. Ve ne siete accorti anche voi e ce l’avete fatto sapere in tantissimi (LINK): i vestiti, soprattutto quelli del fast fashion, sono sempre più striminziti. E chi meglio di Anna Maria può aiutarci a fare il punto della situazione?

LE TAGLIE NON ESISTONO – “Prima di tutto dobbiamo aver chiara una cosa: le taglie sono la diretta conseguenza dell’immagine che ogni brand vuole dare di sé“, ci spiega, sorseggiando un cappuccino sedute ad un tavolo dello storico Camparino in Galleria Vittorio Emanuele. “Per questo la cosa più importante da osservare è la taglia campione, quella che rappresenta il modello ideale di quel marchio. Viene stabilita sulla base dell’icona, maschile o femminile che sia, che ogni stilista sceglie. È un discorso molto ispirazionale, al centro c’è la domanda esistenziale di ogni designer: ‘La mia moda, chi vuole vestire?’Dalla risposta a questa domanda si creano i moodboard e quindi le collezioni, partendo, ovviamente, dalla taglia campione. È da lì che poi vengono, a scalare, tutte le altre taglie, più piccole o – solitamente – più grandi. Per questo il vero punto non è semplicemente aggiungere o togliere centimetri da un pantalone piuttosto che un cappotto. Piuttosto è la vestibilità il vero problema, ovvero l’adattare il modello a fisicità diverse: perché un abito concepito per un’ideale di donna androgina e filiforme, anche se delle giuste misure, non riuscirà mai a valorizzare un fisico formoso, per quanto magro. È stata quindi la taglia campione a rimpicciolirsi, in primis negli anni, sull’onda di icone come Kate Moss: nell’epoca in cui lavoravo io nella moda, la taglia campione di riferimento era la 42 e io stessa ero considerata tale. Poi è diventata prima una 40, poi una 38 e ora una 36″.

“Per questo non chiedo mai, ma mai mai, ad un cliente, uomo o donna che sia, quale taglia indossi. Non mi serve a nulla sapere il numerino indicato sull’etichetta dei suoi pantaloni o della giacca. In primis perché il numero che mi dirà è arbitrario, e poi perché se davanti ho una persona insicura allora mi dirà sempre una taglia in più di quella che effettivamente indossa; mentre se invece invece è sicura di sé me ne dirà una in meno. Sta a me indicare loro la taglia giusta in base al capo, al brand e al mood che vogliamo creare. La taglia è una variabile ormai del tutto irrilevante quando si fa shopping, tutto sta in come veste poi un capo addosso”. In tal senso è cruciale conoscere le peculiarità di ogni brand: “In tante mi chiedono di comprare qualcosa di Elisabetta Franchi, ma purtroppo puntualmente mi trovo a doverle dissuadere perché, per come sono disegnati i suoi modelli, valorizzano davvero solo chi è molto magro. Se andate in un suo negozio a provare una 44 convinte che sia la vostra taglia, preparatevi al fatto che non sarà cosi, perchè fa quello che in gergo si chiama scarto taglia, ovvero la sua 44 veste in realtà una 42. L’effetto finale rischia quindi di essere diverso da quello delle pubblicità. Meglio quindi fermare prima la cliente piuttosto che farle provare quel senso di frustrazione quando non si vede come vorrebbe con gli abiti che desiderava. Per questo la selezione più che sulla taglia va fatta sulla fisicità di riferimento dei brand. In generale, però, è più difficile trovare una vestibilità ottimale nella cosiddetta fascia media, quella di Patrizia Pepe, Liu Jo, ecc per intenderci”.

IL CASO ZARA – Ad esser finita nel mirino delle critiche degli utenti è, però, soprattutto Zara (ve ne abbiamo parlato qui): “Quello che sta succedendo con le taglie di Zara ha un motivo ben preciso, ovvero il riposizionamento del brand sul mercato. Negli ultimi mesi, infatti, il marchio spagnolo ha alzato i prezzi e lavorato molto sulle collezioni (esemplare, in tal senso, questa Autunno/Inverno) in modo che evocassero il mood del prêt-à-porter. D’altra parte, se noi adesso andiamo da Zara in qui in Corso Vittorio Emanuele, troviamo – al netto dei turisti, dei ragazzini e degli studenti universitari – le cosiddette “sciure” milanesi, che girano con la borsa di Hermes o Chanel ma si vestono da Zara perché comprano tanto e vogliono sfoggiare capi sempre nuovi, che facciano un effetto wow e che, se abbinati sapientemente, strizzino l’occhio all’alta moda. Per questo il marchio ha lavorato molto sulla location ma anche sul servizio al cliente, ricreando l’atmosfera delle boutique: l‘obiettivo è smarcarsi dall’etichetta del fast fashion e conquistare la clientela di fascia medio-alta“. A rigor di logica, viene spontanea un’obiezione: così facendo si esclude volontariamente tutta una fetta di pubblico già fidelizzata, con conseguente calo delle vendite e malcontento. “La verità è che per chi si può permettere il lusso le taglie sono sempre piccole, piccolissime. Per questo, se ora Zara ambisce a quel tipo di pubblico, è inevitabile che i suoi capi smettano di essere in qualche modo per tutti. I capi d’alta moda sono abiti che vengono ormai proprio pensati per fisici filiformi, androgini. Per questo già fuori dalla passerella hanno una resa diversa, addosso ai corpi normali: io stessa se ho come cliente una donna che è una 46 con una 4a di seno, non posso certo portarla da Chanel, Dior, Prada ecc. Non voglio metterla nella condizione di non trovare nulla che le vada bene. Non c’è niente di più frustrante. Nel momento in cui io varco la soglia di un negozio, devo esser certa che lì troverò qualcosa che faccia al caso del cliente. Perché se sul cartellino c’è scritto 46 ma poi quando lo prova non le va, è un problema. E una sconfitta pazzesca per me. Per questo ad ogni inizio stagione io stessa mi prendo delle ore per andare a provare personalmente gli abiti per capire come eventualmente i brand hanno cambiato le misure e quindi che vestibilità hanno i capi del momento, soprattutto quelli di tendenza. Lo stesso se c’è un cambio stilistico o di direzione creativa. Discorso a parte, invece, per quello che possiamo chiamare l’ultra fast fashion come può essere Primark piuttosto che Shein o H&M: loro sfruttano il vanity sizing perché sanno che il proprio cliente non sta a selezionare 3 cose giuste, ma con lo stesso budget ne compra magari venti e gli va bene così”.

IL TRUCCO DEI CAMERINI E L’IMPORTANZA DI UN APPROCCIO CONSAPEVOLE – La frustrazione è sempre dietro l’angolo se non ci si approccia al guardaroba con consapevolezza: “Ad esempio, non bisogna conservare nell’armadio troppi abiti del passato di una taglia che non ci sta più. Se ero una 42 e ora sono una 44 è perché è normale che con il tempo le forme cambino oppure che, appunto, i brand abbiano cambiato le misure. Stare ogni giorno a guardare e rimuginare su abiti che non ci stanno più non fa che accrescere in noi un senso di inadeguatezza verso un sistema che, però, è esso stesso l’artefice della nostra frustrazione”. Per non parlare poi dell’esperienza nei camerini di prova: “Neanche Naomi si sente bella davanti allo specchio con quelle luci! Per avere una visione che sia il più possibile realistica ed oggettiva bisogna allontanarsi almeno un metro/un metro e mezzo dallo specchio, quindi prima cosa aprire la tenda e uscire da quegli spazi minuscoli. Meglio quindi specchiarsi negli specchi grandi che ci sono fuori dai camerini o in negozio. È un momento sempre delicato, perché l’aspettativa incontra la realtà, quindi anche io sto sempre attenta a non mettere in imbarazzo il cliente”. Per questo bisogna tener presente che anche uno stesso brand può variare le misure da collezione a collezione: “C’è chi è affezionato e si veste sempre monomarca ma non è detto che la 42 di quindici, dieci o cinque anni fa sia delle stesse misure di oggi. Guardiamo ad esempio Marella: fino a dieci anni fa, semplificando, possiamo dire che vestiva le zie. Oggi veste le nipoti. Un cambio totale di target, non a caso come testimonial ora c’è Mariacarla Boscono. Una cosa simile l’ha fatta molto bene anche Luisa Spagnoli. C’è anche poi chi, al contrario, è rimasto fedele a sé stesso e quindi alle proprie taglie, soprattutto brand storici. Giorgio Armani è uno di questi e i suoi clienti gliene sono grati. Neanche Prada, né Jil Sander. Anche Dolce e Gabbana ha sempre avuto come modello una donna più formosa e femminile”. “Ad esempio, una volta ho avuto come cliente un uomo d’affari dell’est, molto corpulento, che voleva comprare un completo da Tom Ford. Peccato che Tom Ford non fosse affatto adatto alla sua fisicità, quindi ho dovuto trovare un modo per spiegargli la questione facendogli capire che il problema non era certo il suo fisico ma piuttosto il brand e dandogli un’alternativa equivalente, anzi, in più anche su misura. Ma anche più semplicemente le donne con un seno prosperoso: dalle camicie alle giacche, fanno molta fatica a trovare qualcosa che vada loro bene e non faccia difetto”.

IL RUOLO DI VIP E INFLUENCER – “Questi personaggi influenzano davvero sono i giovani, specialmente poi chi vive in provincia e ambisce ad imitare il mood della città. Prendiamo Chiara Ferragni: chi vediamo vestito con il suo brand qui, in centro a Milano? I turisti o le ragazzine di provincia che così vestendo si sentono più vicini al lifestyle da milanese giovane, ricca e di successo che lei propone”.

IL SEGRETO PER UNO SHOPPING FUNZIONALE E SENZA STRESS – “Bisogna valutare innanzitutto tre parametri: stile, forma e colore che meglio valorizzano la propria fisicità. La prima scelta è ontologica, io faccio sempre questo esempio provocatorio: se vi regalassi 1000 euro, dove li spendereste, da Armani o da Dolce e Gabbana? Da qui si parte per costruire poi coerentemente il proprio stile personale selezionando i brand che sono in linea con quello stile. Quindi si valutano i modelli, i tessuti e i dettagli stilistici che più si addicono alla propria fisicità e solo per ultimo i colori. E il tutto deve conciliarsi con chi sei, ovvero l’immagine ispirazionale di stile che ognuno vuole dare di sé allo specchio e agli altri; il come sei, quindi una valutazione di tipo oggettivo di fisicità e colori naturali, prerogative che costituiscono l’unicità di ogni individuo e che, inevitabilmente, influenzano poi la scelta dei capi. Infine, il dove sei, ovvero il contesto in cui si vive e si è inseriti, cosa che ha un ruolo non secondario. Così facendo, poco importerà se di un brand si porta la 38, dell’altro la 40 e dell’altro ancora la 42. Ci si sentirà sempre e comunque a proprio agio“.

“Taglie sempre più striminzite? Nel lusso sono sempre state piccolissime ma ora è così anche da Zara: vi spiego perché”. L’analisi della personal shopper
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