Si possono chiedere le porte di accesso al Covid? In un articolo pubblicato il 5 dicembre scorso su Nature di un studio preliminare e poi commentato il 14 dicembre sulla stessa rivista la risposta sembrerebbe essere sì con un vecchio farmaco, economico e già disponibile, usato per trattare una malattia del fegato che si chiama colangite biliare primitiva. Gli autori del lavoro esploravano una possibile dote inedita dell’acido ursodesossicolico (Udca), medicinale fuori brevetto che si assume per bocca: la capacità di prevenire Covid-19 sbarrando a tutte le varianti del virus Sars-CoV-2 – presenti e future – la porta d’ingresso alle cellule degli organi bersaglio. E spiegavano che i risultati osservati su organoidi (modelli d’organo miniaturizzati fabbricati in laboratorio), animali, organi umani e un piccolo gruppo di volontari sani, andavano confermati in studi clinici più ampi. Mentre la scienza fa il suo corso, però, in Cina si è già impennata la richiesta del farmaco. Fra i principali produttori mondiali di acido ursodesossicolico, tra l’altro, c’è una realtà italiana, Ice Group, basata a Reggio Emilia, acquisita dal fondo internazionale d’investimento Advent International nell’ottobre del 2019.

La domanda del farmaco generico è aumentata notevolmente in Cina, ha rilevato un’analisi del servizio attivo nel campo di notizie e dati del settore farmaceutico ‘Scrip Intelligence’, rimbalzata su diversi media e citata anche nelle news di università Usa. Ma i produttori affermano di non poter tenere il passo e gli esperti mettono in guardia sulla limitata natura dell’unico studio disponibile al momento sul fronte Covid. Studio che, secondo quanto riporta Scrip ha suscitato grande interesse nella Cina alle prese con l’esplosione di contagi di questi giorni e che firmato tra gli altri da ricercatori del Cambridge Institute of Therapeutic Immunology & Infectious Disease. L’effetto è che, dall’oggi al domani, l’Udca è diventato un farmaco super ricercato. Alcuni medici hanno cominciato a suggerirlo come arma preventiva in pazienti ad alto rischio. Il boom di richiesta sta avendo impatto sul fronte economico: sull’onda di questo fenomeno infatti, secondo l’analisi pubblicata al riguardo, i produttori cinesi di farmaci Xuantai Pharma e New China Pharma hanno visto i prezzi delle azioni salire con rialzi tra il 53% e il 69% nelle scorse settimane.

La richiesta di un vecchio farmaco per il fegato, che in Cina sta trovando una nuova vita contro il Covid, “è il segnale che a distanza di tre anni si ricommette l’errore già commesso con l’idrossiclorochina o con l’invermectina, ma con una piccola differenza: gli errori commessi nel 2020 erano anche ‘giusti’ perché si cercavano rimedi per un virus che non si conosceva. Usare l’acido ursodesossicolico (Udca) ora è un errore imperdonabile perché prima di usare un farmaco sugli esseri umani bisogna fare studi di Fase 2 e Fase 3 e dimostrare che i risultati siano migliori della terapia standard con gli antivirali o i monoclonali. Mi sembra la bufala Covid del 2023, è l’antiscienza” dice all’Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore Malattie Infettive dell’ospedale San Martino di Genova. “L’acido ursodesossicolico è un farmaco che si usa per il fegato e che in uno studio su ‘Nature’, in vitro, ha dimostrato di funzionare contro il Covid e le sue varianti, ma non è stato mai fatto uno studio sui pazienti – avverte Bassetti – Dobbiamo fare molta attenzione e anche i media devono stare molto attenti a comunicare certe cose: non basta un lavoro, anche se pubblicato su una rivista come ‘Nature’. Altrimenti – conclude – si finisce che vale anche la cura con l’incenso o con il corno di rinoceronte”.

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Lo studio su Nature

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