Ali Daei è considerato uno dei più grandi calciatori asiatici di tutti i tempi. A marzo compirà 54 anni.

È stato centravanti e capitano della nazionale dell’Iran per oltre 10 anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo (con 149 presenze e 109 reti) e ha maturato importanti esperienze all’estero, come nel campionato tedesco e in una squadra prestigiosa come il Bayern di Monaco. È secondo solo a Cristiano Ronaldo per numero di reti segnate a livello internazionale.

Tra il 2008 e il 2009 ha anche allenato la nazionale del suo paese e ha continuato ad allenare squadre di club fino al 2019.

Un periodo altrettanto importante della sua vita è iniziato proprio allora, quando si è avvicinato ai movimenti di protesta. Poco dopo l’avvio delle manifestazioni, ancora in corso in tutto il paese dopo oltre 100 giorni, ha lanciato un appello al governo, attraverso i social media: “Risolvete i problemi del popolo iraniano invece di ricorrere alla repressione, alla violenza e agli arresti”.

Da allora è nel mirino del regime. Per ritorsione, a dicembre gli hanno chiuso due negozi a Teheran.

Ma quanto successo il 26 dicembre è ancora più grave: un vero e proprio atto di pirateria aerea, col quale le autorità iraniane hanno costretto un volo della compagnia Mahan partito da Teheran e diretto a Dubai, negli Emirati arabi uniti, ad atterrare sull’isola di Kish.

A bordo c’erano la moglie di Daei, Mona Farrokhazari, e la loro figlia. Del tutto palese e dichiarato l’obiettivo di quel dirottamento: impedire alle due passeggere di lasciare l’Iran. Secondo fonti ufficiali, infatti, a Farrokhazari era stato vietato di lasciare il paese in quanto, insieme al marito, aveva “sostenuto gruppi antirivoluzionari e rivoltosi e incitato allo sciopero”. All’imbarco, tuttavia, non le avevano fatto alcun problema…

Daei non è il solo esponente del mondo del calcio a essersi schierato dalla parte dei manifestanti: ricordiamo il rifiuto di cantare l’inno nazionale nella prima partita dei Mondiali del Qatar e soprattutto la vicenda di Amir Nasr Azadani, difensore la cui carriera è stata interrotta a 26 anni da un grave infortunio, che è in carcere e rischia un processo per reati per i quali è prevista la pena di morte.

E non è neanche solo dagli ambienti calcistici che emerge il dissenso contro la repressione in atto in Iran: dall’arrampicata sportiva agli scacchi, la sfida al terrore di stato continua.

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