di Savino Balzano*
Che sia proprio Mattarella a imporre la Costituzione come “bussola” della politica italiana francamente mi risulta oltremodo insopportabile. Viviamo nel tempo in cui il politicamente corretto ha assunto la dimensione di ideologia totalitaria: chiunque provi a discostarsi dai suoi dettami viene immediatamente schiacciato, emarginato e, se coinvolto, lo scopo unico è quello di esporlo al pubblico ludibrio edificando la solita grottesca gogna da talk show.
Il Capo dello Stato è al centro di questa logica: tutti lo celebrano, tutti lo esaltano, nessuno osa criticarlo.
E invece il discorso di Mattarella, così come quello dello scorso anno, fa un po’ acqua da tutte le parti: fu Travaglio, a ragione, a definire Napolitano “Re Giorgio”. Ma se quello era un monarca, allora Sergio è un imperatore. Al netto dei fasti e delle nostalgie che un’immagine del genere potrebbe rievocare in qualcuno, la centralità dominante assunta dal Presidente della Repubblica è un male assoluto, quantomeno in un sistema che si definisce parlamentare. La scusa dell’incapacità della politica puntellata dal Quirinale convince solo i più sprovveduti (non che i nostri politici siano un granché, sia chiaro), come pure l’idea di riscrivere una Costituzione ormai di fatto già modificata, optando per un semipresidenzialismo alla francese: soluzione di resa, di ripiego.
Oggi infatti noi una Costituzione ce l’abbiamo e, fintanto che c’è, bisogna rispettarla.
Mattarella ha compiuto atti che nessun altro aveva mai osato anche solo immaginare: si prova a nascondere sotto il tappeto della memoria il caso di Paolo Savona, ma quello fu il momento del prima e del dopo. Mattarella pose un veto su Savona per ragioni politiche, consacrando l’idea per la quale una maggioranza parlamentare si debba piegare laddove il Presidente della Repubblica ravvisi ragioni politiche per contrastare la scelta di un ministro. Nessun riferimento a casi analoghi del passato è pertinente: quelle altre furono ragioni di opportunità, mai legate alla visione politica del candidato ministro. Quello che nel 2018 però ebbe maggiore rilevanza fu proprio il merito politico di quel veto: la serenità dei mercati prima di tutto. Il Presidente della Repubblica, in quella circostanza, sfondando letteralmente la cornice di quella Costituzione che oggi dice di voler difendere, subordinò l’interesse del paese al ricatto dei mercati, alla dittatura dello spread, relegando peraltro l’Italia al ruolo di colonia di Bruxelles (e in particolar modo dei potentati finanziari che governano quel malsano grumo di potere che è l’Unione Europea).
Altro che limitazione di sovranità, come recita l’articolo 11 della stessa Costituzione: fu una vera e propria cessione, una rinuncia all’esercizio delle prerogative democratiche del Parlamento. E difatti di quel Mattarella si chiedeva la messa in stato d’accusa: pensare al Di Maio degli anni successivi davvero fa ridere e consola ancora il risultato elettorale che ha meritatamente raccolto con i suoi amici in occasione delle scorse politiche, uno tra i più dolci doni del 2022.
E oggi l’Imperatore viene a parlarci di giovani, lo fece anche in occasione del precedente discorso: nel 2021 criticò la precarietà, tutti lo applaudirono e nessuno fece nulla. Figuriamoci: la precarietà più feroce in Italia l’hanno introdotta coloro i quali più gli sono vicini, le élite del Partito Democratico. Oggi ripiega sul tema degli incidenti stradali: meglio, terreno meno scivoloso. Nessun riferimento ovviamente al pareggio di bilancio: promulgato dal suo predecessore e mai messo in discussione da Mattarella. La misura ha di fatto archiviato la stagione dello stato sociale in Italia: i conti in ordine prima dei ponti che crollano, i conti in ordine prima delle scuole fatiscenti, i conti in ordine prima dei posti in terapia intensiva, i conti in ordine prima di ricerca e sviluppo, i conti in ordine prima della lotta alla povertà, i conti in ordine prima di misure che creino buona occupazione, conti in ordine prima di un futuro libero e dignitoso per i nostri giovani.
Il rimando ai giovani ha persino consentito a qualcuno di paragonarlo a Pertini: non so se l’immagine faccia più ridere o piangere. Quello che so è che Pertini, che per la Costituzione della Repubblica aveva quasi dato la vita, era un uomo pronto, solo contro tutti, a criticare anche coloro i quali nessuno osava guardare negli occhi. Era il 31 dicembre del 1983 quando affermò “ancora una volta che i Palestinesi hanno diritto sacrosanto a una patria ed a una terra come l’hanno avuta gli Israeliti”, stigmatizzando aspramente la condotta americana (e francese) in Libano. Mattarella, invece, non ha mai messo in discussione la scelta degli Stati Uniti di adoperare la guerra quale “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, tutt’altro in linea con quanto prescritto dalla Carta (ancora art. 11), omettendo di citare la drammatica verità circa il nostro coinvolgimento attivo in una guerra che tutti stiamo pagando a carissimo prezzo.
Sergio come Sandro dunque proprio no: che il 2023 ci porti quantomeno un po’ di serietà, sarebbe un buon punto di partenza.