Il Parlamento del Montenegro ha nominato Miodrag Lekic, un ex diplomatico in passato alla guida dell’alleanza di opposizione filorussa denominata “Grande coalizione-la chiave”, come primo ministro designato. La scelta è destinata ad acuire lo scontro con il presidente Milo Djukanovic, membro dell’europeista Partito democratico dei socialisti del Montenegro, a cui spetta validare la nomina: in una precedente occasione si è già rifiutato di farlo, citando errori procedurali. Le tensioni tra il capo dello Stato, espressione di un movimento al potere dal 1991 ed il 2020, e l’eterogenea maggioranza parlamentare, composta da partiti filo-europei e filo-russi, paralizza Podgorica da mesi. La popolazione del piccolo Stato balcanico, membro della Nato dal 2017 e candidato all’ingresso nell’Unione Europea, è divisa tra nazionalisti e filo-serbi che non hanno accettato l’indipendenza e coltivano simpatie per Mosca.

Il 7 dicembre scorso la maggioranza parlamentare ha tentato di modificare la Costituzione per privare il presidente della possibilità di nominare il primo ministro e porre così fine alla paralisi istituzionale. Un blitz che aveva innescato rivolte di piazza da parte dei sostenitori di Djukanovic, dominatore della scena politica montenegrina dal 1990. Da quando il capo dello Stato ha perso la maggioranza parlamentare alle elezioni del 2020, il Montenegro è entrato in crisi di instabilità e ha visto succedersi due governi in due anni più un terzo, quello di Lekic, che però non può entrare in carica. La crisi nel Paese è complicata da fattori come la corruzione dilagante, la presenza di gravi problemi di narcotraffico, la lotta tra Stati Uniti e Russia per l’influenza sullo Stato balcanico.

“La divisione tra la maggioranza parlamentare sempre più filorussa, che sembra però particolarmente interessata al mantenimento di una posizione di potere, e l’opposizione rischia di avere profonde ripercussioni sul Paese e di provocare spaccature”, commenta al fattoquotidiano.it Giorgio Fruscione, analista dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ed esperto di Balcani. Fruscione trova significativo che “l’Unione Europea abbia proposto di dare vita ad una mediazione tra le parti, dato che la crisi politica riguarda l’ordine costituzionale sovrano del Montenegro”, sottintendendo l’importanza che Podgorica ha in questo momento per Bruxelles. E non esclude che le elezioni presidenziali, che si svolgeranno nel 2023, potrebbero determinare “un cambio di sponda politica per il Paese ed un riassetto degli equilibri interni tra le parti”.

Il Montenegro ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina e ha aderito alle sanzioni imposte dal Consiglio europeo: perciò è stato inserito da Mosca nella lista degli “Stati nemici”. La posizione del governo non è stata condivisa da tutti i partiti che lo sostengono, come evidenziato dall’organizzazione di due manifestazioni alternative: la prima per condannare l’invasione dell’Ucraina e la seconda per difendere la Russia. La presenza di questa dicotomia è spiegabile con la persistente influenza esercitata da Mosca sui decisori politici e dalla volontà del Cremlino di essere coinvolto negli affari interni del Montenegro. Così la vede anche il Parlamento europeo che, in un rapporto, ha chiarito come la Russia “abbia un persistente interesse nella destabilizzazione del Montenegro” sfruttando contatti locali.

La lentezza del processo di adesione all’Unione europea, le cui basi sono state gettate nel lontano 2007, rischia di avvicinare il Montenegro e le altre nazioni dei Balcani occidentali alla Cina e alla Russia. La ragione è da ricercare, più che in convergenze di natura ideologica e politica, nella necessità per queste nazioni di sviluppare una partnership forte in grado di tutelare i tessuti economici locali. Pechino può contare sull’attrattiva dei progetti della Nuova via della Seta mentre Mosca può fare affidamento sugli aiuti e sul nazionalismo pan-slavico, che gode di rispetto e di un discreto successo politico in diverse nazioni balcaniche. Il continuo rinvio della prospettiva di entrata in Europa rischia di provocare una forte disillusione e di allontanare, sempre di più, le nazioni balcaniche da Bruxelles ed avvicinarle a modelli di governo più autoritari.

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