E' un record assoluto che le major vedono "come una vendetta", scrive il Financial Times, "dopo che hanno resistito alle pressioni degli attivisti e di alcuni azionisti perché abbandonassero il loro core business e riducessero le emissioni dannose per il clima"
Le compagnie petrolifere statunitensi ExxonMobil e Chevron hanno appena chiuso un’annata da incorniciare. Grazie all’aumento dei prezzi del greggio registrato dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la prima registrerà stando alle stime di S&P Capital Iq profitti per 56 miliardi di dollari, mentre Chevron metterà a segno utili per 37 miliardi: un record assoluto, sottolinea il Financial Times dando la notizia. Una prosperità “vista dalle major come una vendetta, dopo che hanno resistito alle pressioni degli attivisti e di alcuni azionisti perché abbandonassero il loro core business e riducessero le emissioni dannose per il clima”, sottolinea il quotidiano finanziario, ricordando che entrambi i gruppi hanno peraltro annunciato maxi piani di acquisto di azioni proprie, una mossa mirata a far salire il valore dei titoli a beneficio degli azionisti. Mentre i consumatori risentono dei rincari.
Entrambe le compagnie resistono strenuamente ai progetti internazionali di decarbonizzazione e prevedono che ancora per diversi decenni la domanda di energia da fonti fossili continuerà a crescere. Secondo Exxon, nel 2050 – quando “molti governi dicono di volere che le loro economie siano ad emissioni zero“, scrive il Ft – il mondo consumerà ancora milioni di barili al giorno più di ora. E il consumo di gas naturale sarà cresciuto di circa il 50%. Il gruppo è pronto anche a ricorrere alle vie legali contro le istituzioni: nei giorni scorsi proprio il quotidiano britannico aveva rivelato che ha fatto causa contro l’Unione Europea per la tassa di solidarietà temporanea imposta alle compagnie che lavorano i combustibili fossili. Vuol bloccare l’iniziativa sostenendo che Bruxelles ha prevaricato la sua autorità legale imponendo la tassa del 33% sugli utili superiori del 20% alla media degli ultimi tre anni. Cosa che rischierebbe di “minare la fiducia degli investitori, scoraggiare gli investimenti e aumentare la dipendenza dall’energia importata“.