Oggi l’Università italiana si appresta ad affrontare una sfida che va ben oltre le sue storiche funzioni di formazione e ricerca: è infatti chiamata a impegnarsi nella cosiddetta ‘terza missione’, un modo per valorizzare la ricaduta che essa ha sul tessuto socioeconomico del territorio.
In tal senso una degli scopi della terza missione è il Public Engagement, ovvero l’insieme di attività organizzate istituzionalmente dall’Ateneo con valore educativo, culturale e di sviluppo della società e rivolte a un pubblico non accademico. Sono iniziative di divulgazione culturale e scientifica, senza scopo di lucro, con cui l’Università mette i cittadini a conoscenza di ricerche, nozioni o strumenti utili alla comunità. Nonostante l’Italia sia da molti anni uno dei paesi europei che investe di meno nell’istruzione universitaria (che non vive più, come in passato, in una torre d’avorio), l’Accademia sta per recuperare la sua antica centralità. Perché la produzione di valore pubblico, come quello che le Università creano da secoli, è quanto mai richiesto in un periodo storico come quello attuale in cui le emergenze economiche, le tensioni politico-culturali e le disuguaglianze sociali sono tornate alla ribalta. L’Università lavora soprattutto sui processi che hanno impatto sulla vita delle persone. Ma per fare in modo che tali sforzi possano davvero essere efficaci in un contesto di riferimento così dinamico, la narrazione va ripensata e cambiata, anche e soprattutto da parte del mondo accademico. Le sfide del futuro, in un mondo che nel 2050 conterà dieci miliardi di abitanti, verteranno su temi caldi quali la salute pubblica, la gestione delle malattie infettive o la sicurezza alimentare.
E nell’overload informativo a cui sono (e saranno) progressivamente sottoposti, i cittadini per quanto più informati di un tempo, non hanno sempre tutti gli strumenti per decifrare o comprendere alcuni argomenti. Soprattutto per quel che riguarda i temi scientifici, per i quali una raffazzonata opinione raccolta in mezz’ora su google non aiuta a capirne il significato né tantomeno a orientarne una decisione. La recente pandemia ci ha insegnato proprio questo: sui temi di salute pubblica deve prevalere il bene comune, il senso collettivo di una scelta e non più l’autodeterminazione, che può magari valere per altri settori della vita pubblica.
In tal senso diventa fondamentale la divulgazione scientifica e tutti gli strumenti che interpretano i risultati della scienza e li si rendono fruibili a tutti. L’Università è chiamata ad avere la capacità di spiegare in modo facile concetti difficili e, in modo onesto, obiettivo e indipendente, a trasformare la crudezza dei metodi, dei numeri e delle formule in una narrazione più agevole, più facile da maneggiare e da comprendere per i cittadini così come per le istituzioni e gli uomini politici. La terza missione, quindi, deve colmare questa differenza ed essere una risorsa strategica nel processo di formazione, convivenza e supporto della società del benessere.