Dal piccolo borgo di Badolato alla centralissima Milano. La squadra mobile di Catanzaro, diretta da Fabio Catalano, lo ha trovato in una palazzina popolare di via Sapri mentre si affacciava a un balcone dell’appartamento dove si nascondeva. È finita in Lombardia la latitanza di Antonio Saraco, 69 anni, ricercato dal maggio dell’anno scorso perché condannato in via definitiva a 10 anni di carcere per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Ritenuto vicino alla cosca Gallace-Gallelli, l’imprenditore Saraco era il principale imputato del processo “Itaca-Free Boat” nato da un’inchiesta della Dda di Catanzaro nell’ambito della quale è emerso che l’ormai ex latitante ha imposto il pizzo a una società modenese oltre che una gestione inadeguata del porto di Badolato.

Coadiuvata dalla squadra mobile di Milano e dagli uomini del Servizio di polizia scientifica della Dac, la mobile di Catanzaro da tempo aveva capito che Saraco si muoveva liberamente nel Nord Italia, a cavallo tra la Lombardia e un’altra regione. Negli ultimi giorni le ricerche, coordinate dal procuratore Nicola Gratteri, si sono concentrate nell’hinterland milanese, e in particolare nei quartieri di Quarto Oggiaro e Vialba. Grazie alle intercettazioni, gli uomini di Catalano sapevano che il latitante sarebbe stato spostato a breve in un altro rifugio attraverso l’appoggio di alcuni calabresi residenti in Lombardia. Intrecciando alcune conversazioni in dialetto con le celle telefoniche agganciate dai telefoni tenuti sotto controllo dalla Dda di Catanzaro, la polizia ha organizzato un servizio di perlustrazione durante il quale un agente della mobile ha riconosciuto Saraco mentre si è affacciato dal balcone di una palazzina.

Il tempo di cinturare la zona e il blitz è scattato quasi subito: alle 12 Saraco era già in manette. Al momento della cattura non era armato ma aveva con sé una carta di identità spagnola su cui sono in corso accertamenti per risalire alla provenienza del documento falso. Documento che non è escluso sia stato utilizzato da Antonio Saraco per spostarsi fuori dall’Italia. È chiaro che l’imprenditore, negli otto mesi di latitanza, ha goduto di una rete di fiancheggiatori che gli hanno consentito di muoversi indisturbato in Lombardia e non solo. Proseguiranno, infatti, le indagini per risalire ai soggetti che, in qualche modo, hanno favorito la sua latitanza. L’inchiesta è ancora in corso ma non ci sono dubbi che l’analisi dei telefoni intercettati potrà fornire una prima risposta al procuratore Gratteri e alla Dda di Catanzaro.

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