Spread in calo nonostante la protesta scomposta contro la riduzione degli acquisti di titoli di Stato. Gli investitori guardano ai fatti e la legge di Bilancio del governo Meloni, lungi dallo sfidare Bruxelles sui conti, riduce il deficit a un livello più basso rispetto a quello scelto da Draghi. Del tutto diversi gli scontri con la Commissione che hanno visto protagonista nel 2018 e 2019 il governo gialloverde
“Non sta a me giudicare ma non serve un premio Nobel, basta il buon senso di una massaia per capire che alcune decisioni provocano effetti negativi perché amplificano la crisi”. Il giorno dopo il sondaggio del Financial Times che ha confermato – non proprio a sorpresa – come l’Italia sia il Paese dell’Eurozona a maggior rischio di una crisi del debito causa politiche restrittive della Bce, il ministro della Difesa Guido Crosetto torna a picconare l’istituzione guidata da Christine Lagarde. “Fatico a comprendere”, dice in un’intervista a Repubblica il cofondatore di Fratelli d’Italia e braccio destro della premier Giorgia Meloni, “le ragioni che hanno spinto la Bce a cambiare politica sugli acquisti dei titoli di Stato europei, in un momento già economicamente molto complesso, per certi versi drammatico, come quello che sta attraversando il mondo e l’Ue in particolare. Quando Draghi lanciò il whatever it takes, la situazione economica e sociale era enormemente migliore di quella a cui stiamo andando incontro. A maggior ragione oggi non c’era alcuna ragione per una stretta“.
Segue la richiesta, all’insegna di un sovranismo da manuale che mal si concilia con il contenuto del Trattato sul funzionamento dell’Unione, di ripensare il ruolo e il potere di “organismi indipendenti e che rispondono solo a sé stessi” a cui “abbiamo lasciato la possibilità di incidere sulla vita dei cittadini e sull’economia, in modo superiore alla Commissione europea e soprattutto ai governi nazionali”. Uscite scomposte, poco auspicabili da parte di un’esponente di governo dello Stato con il debito/pil più alto dell’Ue dopo quello greco. Ma la sorpresa è che i mercati, in passato pronti a mettere nel mirino i titoli di Stato italiani ad ogni sparata in arrivo da Roma, non hanno fatto un plissé. Anzi: lo spread Btp-Bund è calato notevolmente in scia ai dati sull’inflazione francese migliori rispetto al previsto. E non si può ufficialmente considerare una reazione nemmeno la comparsa, sul blog della Bce, di uno studio di cinque economisti dell’Eurotower che ricordano come un elevato indebitamento sia sostenibile solo fino a quando i tassi di interesse nominali sui titoli di Stato restano inferiori al tasso di crescita del pil. E mettono in guardia i governi dalla tentazione di fare “pasti gratis”, cioè deficit eccessivi, calcolando che “per i Paesi ad alto debito” una crescita del 10% del rapporto debito/pil può comportare “un aumento di 65 punti base” del rendimento dei propri bond.
L’indifferenza dei mercati in realtà è semplice da spiegare. Al di là dei toni sopra le righe, le critiche nei confronti della stretta monetaria sono quelle espresse da mesi da diversi economisti secondo cui la Bce si è mossa in ritardo, ha ignorato l’origine prevalentemente energetica dell’inflazione in Ue e ora sta sottovalutando il rischio di recessione. Non solo: c’è da tener conto che gli investitori guardano ai fatti. E i fatti dicono che la legge di Bilancio licenziata pochi giorni fa dal Parlamento, lungi dallo sfidare Bruxelles sui conti, è all’insegna di una prudente Realpolitik: il deficit si riduce al 4,5% del pil dal 5,6% fatto nel 2022 dal governo Draghi, il debito è dato in progressivo calo da oltre il 145% del pil al 141,2 nel 2025. A costo di congelare gli stipendi dei dipendenti pubblici e la spesa per gli acquisti della pubblica amministrazione, all’insegna di una nuova austerity. Come Crosetto rivendica, ricordando che “il governo ha fatto una manovra con un messaggio chiaro per i mercati e per l’Europa: serietà, nessuna demagogia“.
Gli attacchi lasciano il tempo che trovano, i numeri restano. Del tutto diversi sono stati i casi di scontro con la Commissione che hanno visto protagonista nel 2018 e 2019 il governo gialloverde: inviare a Bruxelles una manovra con “deviazioni senza precedenti” nel percorso per la riduzione del deficit e una “violazione grave e manifesta delle raccomandazioni adottate dal Consiglio europeo” non poteva che scatenare reazioni violente sui mercati, come infatti è avvenuto. Costringendo l’esecutivo Conte 1 a una precipitosa marcia indietro. Idem rispetto alla proposta di pagare i debiti delle imprese in “minibot” e all’evocazione dell’uscita dall’euro da parte dell’allora presidente della commissione Bilancio della Camera e consigliere economico di Matteo Salvini Claudio Borghi. Morale: criticare e accusare la Bce di errori palesi è lecito finché non si esce dal seminato. I dolori arrivano non appena ci si avventura fuori da un rigoroso controllo dei conti. Motivo per cui il governo di centrodestra, dopo una vittoria schiacciante alle elezioni, non ci ha nemmeno provato.