L'arresto in flagranza è stato reso possibile decreto Sicurezza bis varato da Matteo Salvini durante il suo mandato al Viminale, che ha innalzato le pene edittali per il danneggiamento aggravato. Ma quel reato non avrebbe dovuto essere contestato, perché la vernice era lavabile con acqua. E nel codice esiste una fattispecie che descrive alla perfezione un caso di questo tipo: il "deturpamento o imbrattamento di cose altrui", che non consente arresto
Se il codice penale fosse stato applicato correttamente, i tre attivisti climatici che hanno lanciato della vernice arancione a scopo dimostrativo sulla facciata del Senato non avrebbero potuto essere arrestati. È la tesi del collettivo Ultima generaizone ricostruita dal quotidiano Domani, ricordando che l’arresto di Davide Nensi, Alessandro Sulis e Laura Paracini è dovuto al decreto Sicurezza bis varato da Matteo Salvini durante il suo mandato al Viminale, che ha innalzato le pene edittali per il danneggiamento aggravato, prevedendo un massimo di cinque anni di reclusione che consente l’arresto facoltativo in flagranza. Il problema, però, è che quel reato non avrebbe dovuto essere contestato nel caso di specie. Perché la vernice era del tutto lavabile con acqua, come dimostrato dal fatto che i muri di palazzo Madama sono stati ripuliti a tempo di record. E nel codice esiste una fattispecie che descrive alla perfezione un caso di questo tipo: il “deturpamento o imbrattamento di cose altrui”, punito con la reclusione da uno a sei mesi o con la multa da trecento a mille euro se il fatto è commesso su un bene immobile (o con la reclusione da tre mesi a due anni e la multa fino a diecimila euro in caso di recidiva). Una cornice edittale che non consente l’arresto in flagranza. Ed è proprio facendo affidamento su questa norma che i ragazzi di Ultima generazione hanno pianificato l’azione: “Il semplice imbrattamento è considerato punibile con un reato specifico”, ricordano.
Vediamo la differenza. La norma sul danneggiamento (art. 635 c.p.) punisce chi “distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili” cose altrui. Quella sul deturpamento o imbrattamento (art. 639), appunto, chi le “deturpa o imbratta“. Anche istintivamente è facile concludere che il palazzo del Senato è stato “imbrattato” o al più “deturpato” dagli ambientalisti, e non certo distrutto, nè disperso, deteriorato o reso inservibile. Così ritiene anche la giurisprudenza della Cassazione, che in un precedente del 2002 – riporta sempre Domani – ha distinto “l’alterazione temporanea e superficiale“, cioè l’imbrattamento, dalla “modificazione che diminuisce in modo apprezzabile il valore” del bene e implica un intervento molto più consistente per ripristinare lo stato originario, cioè il danneggiamento. L’esempio di scuola di quest’ultima fattispecie è lo sfregio fatto con una chiave alla carrozzeria di una macchina, che non si può certo rimuovere con una ripulitura. Questa tesi è stata sostenuta dalla difesa dei tre attivisti durante l’udienza di convalida. Ma la giudice per le indagini preliminari ha stabilito che l’arresto sia stato legittimo, pur non applicando nei confronti degli indagati alcuna misura cautelare.