Le Marche, regione guidata da Francesco Acquaroli di Fratelli d’Italia, hanno cancellato la convenzione con l’Aied, in piedi da diversi decenni, per praticare l’aborto in una delle regioni con il tasso di obiettori di coscienza più alto d’Italia. La decisione, presa con un atto amministrativo ma che per il Pd ha “le impronte della giunta” di centrodestra, dispiegherà i suoi effetti dal prossimo mese di febbraio. La collaborazione con l’Associazione Italiana per l’Educazione Demografica era iniziata nel 1981 e nel 2020, ultimo anno per cui sono disponibili i dati, ha garantito 232 interruzioni di gravidanza nelle Marche su 1.351 aborti volontari in regione.

La decisione ha provocato la reazione di associazioni e opposizioni. “Dopo 42 anni l’Aied non potrà più effettuare le interruzioni volontarie di gravidanza nell’ospedale pubblico di Ascoli Piceno. Dietro la revoca della convenzione c’è la mano di chi vuole fare in modo che la città, che in questi anni ha assicurato un servizio anche a sostegno di donne provenienti dalle altre province marchigiane e dalle regioni limitrofe, non sia più un luogo sicuro per l’applicazione della legge 194″, attacca la deputata marchigiana del Pd, Irene Manzi. “Ora sarà ancora più difficile aiutare le donne e tutelare il loro diritto di autodeterminarsi – aggiunge l’onorevole dem – Una scelta politica grave fatta attraverso un atto amministrativo, ma che ha le impronte della giunta targata FdI. Una decisione in linea con quello che la giunta Acquaroli ha sempre perseguito e rivendicato: limitare le possibilità di scelta e ostacolare in ogni modo l’interruzione volontaria di gravidanza”.

E quindi conclude: “Purtroppo, avevamo ragione: le Marche sono diventate il laboratorio dell’ultra-destra che cancella i diritti civili”. La presidente di Aied ha ricordato a Repubblica che le operazioni hanno avuto sempre lo stesso costo per l’Azienda sanitaria provinciale: “Quanto una visita specialistica, 216 euro. Oltre a questo ci veniva riconosciuto un rimborso spese di 150 euro per i medici chiamati da fuori regione e un una quota mensile di 1.060 euro per l’attività consultoriale che abbiamo sempre svolto: dagli incontri propedeutici all’Ivg, al sostegno psicologico, fino alla parte più burocratica che comprendeva anche la redazione delle cartelle cliniche e la compilazione delle schede Istat. Lavoro e tempo che abbiamo risparmiato agli interni. Parlano di risparmio economico, ma dubito che sarà così”.

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