di Valentina Di Paola
Con una diffusione importante a livello di popolazione infantile, l’asma, e in particolare le forme capaci di provocare attacchi improvvisi, potrebbe essere esacerbata dalla presenza di ozono e particolato fine, due inquinanti atmosferici esterni. Ad approfondire la relazione tra asma e inquinamento un nuovo studio, pubblicato sulla rivista The Lancet Planetary Health, condotto dagli studiosi del National Institutes of Health, dell’University of Washington School of Medicine, dell’Università del Wisconsin-Madison e dell’Inner City Asthma Consortium.
Il gruppo di ricerca, guidato da Matthew C. Altman, Daniel Jackson e Hugh Auchincloss, ha esaminato il legame tra l’esposizione all’ozono e al particolato fine e i potenziali cambiamenti molecolari che si verificano nelle vie aeree dei piccoli pazienti soggetti agli attacchi d’asma non virali. L’asma, spiegano gli autori, è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree, caratterizzata dall’ostruzione, generalmente reversibile, dei bronchi. Particolarmente diffuso, in Italia questo disturbo colpisce in media il 10 per cento dei soggetti pediatrici e il cinque per cento della popolazione generale. Diverse ricerche suggeriscono che la componente ereditaria incide per il 30-60 per cento sul rischio di sviluppare questa condizione.
Durante gli attacchi d’asma, il rivestimento delle vie aeree si espande, i muscoli si contraggono e la produzione di muco aumenta. Ciò riduce lo spazio libero per il passaggio di aria. Secondo le stime attuali, i minori residenti nei quartieri urbani caratterizzati da redditi medi meno elevati sono associati a un rischio maggiore di sperimentare attacchi d’asma. In questo nuovo lavoro, il team ha analizzato le informazioni relative a 208 partecipanti di età compresa tra sei e 17 anni, residenti in distretti a basso reddito. Allo stesso tempo, gli esperti hanno considerato i dati di una coorte indipendente di 189 bambini e ragazzi di età compresa tra sei e 20 anni. Tutti i soggetti analizzati soffrivano di attacchi d’asma o asma persistente. Gli studiosi hanno inoltre scoperto che il 30 per cento della coorte era associata a una problematica di tipo non virale, con una percentuale più elevata per i residenti dei quartieri urbani.
Gli scienziati hanno poi valutato gli episodi di crisi asmatiche in relazione ai livelli registrati di ozono e particolato nelle varie località esaminate. Il gruppo di ricerca ha prelevato campioni di cellule nasali per condurre delle indagini sui tessuti e sulle componenti cliniche che potrebbero giocare un ruolo fondamentale nella comparsa dei sintomi associati all’asma. Questo approccio ha permesso al team di individuare specifici percorsi biologici che potrebbero essere correlati agli attacchi d’asma non virali. “Il nostro lavoro – sostiene Auchincloss – rappresenta un’ulteriore dimostrazione dell’importanza di ridurre i livelli di inquinamento atmosferico per migliorare la salute umana. Nei prossimi step, sarà importante sviluppare e testare diverse strategie volte a prevenire o ridurre il rischio di sperimentare attacchi d’asma”.