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Gianluca Vialli morto, il rapporto del campione con la tv. Dalla Gialappa’s alle parole dette a Cattelan: “Vale la pena fare solo cose che amo”

Da Settimana Gol con Boskov al ruolo di opinionista, dalle incursioni ironiche con la Gialappa's alle apparizioni da Fazio, l'ex calciatore e la tv con quella volta che intervistato dopo una partita disse: "Non vedo l’ora di levarmi di dosso tutti questi giornalismi”

di Davide Turrini

La zazzerona riccioluta prima, la pelatona poi. Il sorrisone a ventiquattro denti prima, il traforo del Monte Bianco tra gli incisivi poi. Chi ricorda Gianluca Vialli in tv, a fare il guascone con la Gialappa’s, a condurre una trasmissione assieme a Vujadin Boskov, a schivare le domande di Franco Costa, a litigare con Sinisa Mihajlovic (a proposito non era fallo quello di Acquah in Juventus-Torino), ha in mente quella spensierata gioia di vivere, quella delicata fraterna presenza che dal campo tracimava spesso tra serio e faceto sul piccolo schermo.

È l’epoca in cui il calcio comincia a prendersi, paradossalmente, sempre un po’ meno sul serio. L’epoca in cui il calciatore comincia ad essere una celebrità non più solo sul campo. E Vialli, fresco moschettiere della Sampdoria che vince lo scudetto, capisce che nello schermo da salotto e da cucina c’è un bell’angolo di cielo anche per lui. Appunto, quando ancora i boccoloni molleggiavano come fronde agitate dal vento, sulle reti Mediaset lo chiamano nel 1990 a condurre Settimana Gol con Boskov a fargli da controcanto. Gianluca, a dire il vero, se la cava malissimo. Leggiucchia per traverso presentazione e copione, eppure con quell’espressione felice da uno che si vuole soltanto divertire, da uno che da un momento all’altro può girarsi e segnare in rovesciata, se la gioca a tutto campo tra gol della Bundesliga, della Premier e della Liga spagnola. Così mentre c’è il Vialli conduttore durante la settimana o quello che a Calciomania decanta le sue virtù d’atleta in dialetto di Cremona, la domenica c’è il Vialli doriano in procinto di saltare il fosso e andare alla Juve.

Ed è qui che Franco Costa, stanco di inseguire l’Avvocato a fine primo tempo sgattaiolare dal Comunale, accalappia il povero Vialli per un siparietto che si ripeterà parecchie volte nei mesi e negli anni a venire. Costa di profilo che come su un piedistallo osserva Vialli uscito dallo spogliatoio e il giocatore sempre in basso come schiacciato dal gelato del giornalista. Una, due, tre, quattro, cinque questioni a raffica che rasentano il nulla (ce n’è una che fa più o meno così: “Vialli non vuole si parli di Vialli, poi alla fine ci tocca parlar di Vialli, e allora?”) e alla fine l’attaccante sbotta: “Non vedo l’ora di levarmi di dosso tutti questi giornalismi”.

Tutti gli concedono tutto. Di quella Samp d’oro e della Juve di Del Piero e Lippi, Vialli è anche il giocherellone che rende simpatici i compagni più musoni. Quando appare a Mai dire gol con gilet rosa e cappello a cilindro nero con I bulgari (Aldo, Giovanni e Giacomo) per spezzare una barra d’acciaio (è una gruccia) c’è perfino Aldo Grasso tra Gennaro e Luis a sghignazzare come un pupo. Poi certo, Vialli in tv non è tutto rose e fiori. Parecchie sono pure le spine. Mazzone lo fulmina in diretta a Pressing dopo che Vialli gli si era rivolto in malo modo in campo. Ancora: in piena epoca doping, Vialli definisce più volte Zeman un “terrorista”.

Infine, scontro memorabile da ex la lite con Mihajlovic, recentissima, uno sulla panca del Toro, l’altro in difesa da studio Sky della Juve. È l’epoca, mica ci stiamo ripetendo, anzi, in cui i giocatori diventano opinionisti e nessuno ride più di loro, ma è costretto a prenderli sul serio tutti. Vialli si rimescola senza troppi entusiasmi ai tecnici dei voli pindarici, della tattica esasperata, della retorica aggettivata. Poi giunge terribile la malattia. Ogni tanto fa capolino anche da Fazio. Ma è con Cattelan ne Una semplice verità che strazia e commuove. Seduto su una panchina, talmente magro che pare trasparente, ecco balenare un mezzo sorriso guascone dei tempi d’oro: “I nostri figli seguono più il nostro esempio che le nostre parole. Credo di aver meno tempo adesso per essere un esempio visto che so che non morirò per vecchiaia (…) non val la pena oramai di fare stronzate, vanno fatte solo le cose di cui sei appassionato. Di tempo non ce n’è più”.

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