Quando l’architettura incontra la natura e la medicina nasce l’healing garden, il giardino terapeutico. Una struttura con lo scopo di offrire sollievo psicologico a persone che soffrono di disagi legati a problemi psichici, come l’Alzheimer, o per offrire momenti di relax al personale delle aziende. “Mezz’ora di godimento nella natura, dopo il lavoro, aiuta la mente e il corpo a rigenerarsi”, ci racconta Monica Botta, architetto paesaggista con numerose esperienze in questo ambito.
Dottoressa Botta, come si diventa architetto paesaggista con un interesse specifico per gli healing gardens?
“Un po’ per caso, molto per passione e anche per raccogliere il testimone lasciatomi da mio padre. Di fatto nel 2008 frequentai il primo corso in Italia su queste tematiche e in concomitanza stavo realizzando il mio primo healing garden in un centro per anziani. Quella esperienza fu significativa, cambiò il mio sguardo: mise insieme aspetti sociali, per i quali mi sento vocata e l’architettura del paesaggio. Approfondii il tema e, grazie a corsi, studi, oggi il mio studio si è specializzato nella progettazione del verde e in particolare di giardini terapeutici. Parte del mio tempo lo investo in ricerca, collaborando con il dipartimento di Design and Health LAB del Politecnico di Milano e, di recente, anche con Centro Studi Spedalità Cura e Comunità per le Medical Humanities dell’ospedale di Alessandria, proprio perché dietro a questo approccio, c’è una scientificità che reputo importante far conoscere anche nel nostro Paese”.
Da alcuni anni si studiano gli effetti delle aree verdi sulla salute psicologica delle persone, a partire dalle esperienze pionieristiche in Giappone degli “Shinrin Yoku”, i “bagni” nelle foreste. Nei suoi progetti ritroviamo questo approccio con quali elementi inediti?
“Va detto che la nascita degli healin gardens, fonda le sue radici negli Stati Uniti negli anni ‘80, quando contestualmente in Giappone si stavano muovendo i primi approfondimenti sullo Shinrin Yoku. Pertanto, anche questa disciplina progettuale ha un suo percorso di ricerca, che porta a definire terapeutici tutti quei giardini progettati con l’obiettivo di cura. Personalmente credo che, in una visione olistica, la persona sia da mettere al centro e il giardino in abbraccio, a sostegno”.
Che cosa contraddistingue un giardino terapeutico?
“È costruito specificatamente con vegetazione per stimoli sensoriali, attrezzature per attività motorie, ludiche, sedute e arredi, ausili. È spazio di comfort, condivisione, interazione: la ricchezza di vegetazione e di attività, lo qualifica ed è fonte di benessere. Non è un ambiente naturale spontaneo, ma un progetto paesaggistico in ausilio alle fragilità”.
Tra i suoi interventi, da segnalare quello rivolto ai pazienti che soffrono di Alzheimer del centro diurno la Baracca, a Salerano Canavese (TO); o l’area verde strutturata per una casa di cura per anziani a Ferrara. Quali dati sono emersi?
“Il giardino Alzheimer viene usato dagli ospiti del centro diurno per scaricare tensioni e stereotipie, per fare attività nell’orto, giocare, fare laboratori o anche solo passeggiare con i parenti. La sua conformazione agisce come antistress anche per gli operatori socio-sanitari. Mezz’ora di godimento nella natura, dopo il lavoro, aiuta la mente e il corpo a rigenerarsi. In questo giardino abbiamo verificato attraverso un POMS (profile of mood states), quanto l’umore del personale ne benefici a seguito della giornata lavorativa. Per questo ho seriamente proposto che fosse inclusa quella mezz’ora di svago a tutti gli operatori, che divenisse obbligatoria”.
E poi c’è anche il Parco dei Nonni, un giardino realizzato a Varese, all’interno dei Giardini Estensi.
“Si tratta di un giardino pubblico nato con l’obiettivo di realizzare uno spazio con attrezzature che permettano di fare attività di tipo motorio, cognitivo e ludico. In questo parco c’è un legame forte tra le scelte botaniche (alberi longevi, tenaci, storici), il percorso sensoriale tra la vegetazione, i colori, gli arredi particolari, i giochi di un tempo e le attrezzature riabilitative. È forse uno dei primi giardini pubblici in Italia dove abbiamo inserito un rain garden, per affrontare i cambiamenti climatici”.
Nell’ospedale di Pisa, dell’Azienda ospedaliero-Universitaria Pisana, è stato realizzato un healing garden per gli edifici amministrativi. In questo caso gli utenti interessati non sono persone che soffrono di una patologia, ma personale impiegato. Con quali risultati?
“Sempre di più le aziende hanno capito l’importanza di destinare spazi indoor o outdoor, con piante e vegetazione, ai propri dipendenti. In questo approccio biofilico, una corte, un terrazzo, un giardino servono per scaricare le tensioni, distrarsi, bere un caffè, financo spostare le attività lavorative all’esterno. Durante il lockdown a seguito del Covid19, la ricerca condotta con il Politecnico Pillole di Natura ai tempi della pandemia, ce lo ha fatto capire bene. In questo giardino ci sono ergonomie diverse delle sedute, fiori e architetture d’ombra, e l’opportunità di sostare e fare riunioni o pranzare. Dove prima c’era un prato sintetico, adesso ci sono fiori e piante goduti tutto l’anno. Si è abbassato il calore percepito, il godimento visivo e interattivo delle persone è cambiato. Sono un architetto, credo fortemente nella qualità degli ambienti; quelli di lavoro, della nostra casa, di un giardino, migliorano il nostro quotidiano e contribuiscono a farci vivere bene”.