Lo definiscono un “gesto di umanità e coraggio”, visto che Alfredo Cospito dopo 80 giorni di sciopero della fame è “a un passo dalla morte” nel carcere di Bancali a Sassari. In 38, tra intellettuali e giuristi, si sono rivolti al ministro della Giustizia Carlo Nordio e al governo per chiedere la revoca del regime di 41bis con cui è ristretto nel penitenziario sardo l’anarchico. L’appello è stato firmato, tra gli altri, da padre Alex Zanotelli, missionario comboniano, e da don Luigi Ciotti, fondatore di Libera. Insieme a loro hanno sottoscritto il testo l’ex presidente della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick, l’attore e scrittore Moni Ovadia, il filosofo Massimo Cacciari e l’ex pm di Mani Pulite Gherardo Colombo.

Con loro anche il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli, il presidente dell’Unione delle Camere penali Giandomenico Caiazza e tanti magistrati in pensione, come l’ex procuratore generale di Firenze Beniamino Deidda, Domenico Gallo, Nello Rossi, Livio Pepino e Franco Ippolito, attualmente presidente della Fondazione Basso. Tutti chiedono che ministero e governo “escano dall’indifferenza in cui si sono attestati in questi mesi” e “facciano un gesto di umanità e di coraggio”, definendolo “un passo necessario per salvare una vita e per avviare un cambiamento della drammatica situazione che attraversano il carcere e chi è in esso rinchiuso”.

A ottobre Cospito ha iniziato lo sciopero della fame per contestare l’applicazione del “carcere duro” deciso nel corso del 2022. Dieci anni fa l’anarchico è stato condannato a 10 anni e 8 mesi di reclusione per aver gambizzato Roberto Adinolfi, dirigente dell’Ansaldo. Negli anni successivi è stato accusato di aver piazzato due pacchi bomba a Fossano, nel Cuneese, davanti alla Scuola allievi dei carabinieri: non ci furono né morti né feriti. Per questa vicenda Cospito è stato condannato in appello a 20 anni di carcere, mentre la compagna Anna Beniamino a 16, per strage comune.

Lo scorso maggio la Corte di Cassazione, su richiesta del procuratore generale, ha chiesto tuttavia di riformulare la condanna ritenendo che il reato fosse di strage politica, applicando quindi l’articolo 285 del codice penale, che prevede l’ergastolo e rientra – a differenza della strage comune – tra i reati “ostativi”, quelli per i quali insomma il condannato non possa ottenere benefici o pene alternative. L’accusa ha quindi chiesto l’ergastolo per Cospito e 27 anni e 1 mese per Beniamino.

La Corte d’appello di Torino, a cui spetta riformulare la pena, a dicembre ha chiesto l’intervento della Corte costituzionale per chiarire se sia possibile applicare l’attenuante della “tenuità del fatto” per l’attentato alla Scuola allievi, come richiesto dalla difesa. Nel frattempo, lo scorso anno è stata decisa dal ministero della Giustizia l’applicazione del regime di 41-bis perché nel corso della detenzione Cospito ha inviato, come spiegato dall’allora ministra Marta Cartabia, “numerosi messaggi” ai “compagni anarchici” che sono stati “invitati esplicitamente a continuare la lotta contro il dominio, particolarmente con mezzi violenti ritenuti più efficaci”.

Dal 4 maggio scorso Cospito è quindi sottoposto al 41-bis “con esclusione di ogni possibilità di corrispondenza, diminuzione dell’aria a due ore trascorse in un cubicolo di cemento di pochi metri quadri e riduzione della socialità a una sola ora al giorno in una saletta assieme a tre detenuti”, scrivono i firmatari dell’appello. E dal 20 ottobre scorso ha iniziato uno sciopero della fame “che si protrae tuttora con perdita di 35 chilogrammi di peso e preoccupante calo di potassio, necessario per il corretto funzionamento dei muscoli involontari tra cui il cuore”. I sottoscrittori ricordano che Cospito non intende sospendere la protesta, ma anzi vuole portarla avanti “sino all’ultimo respiro” .

E scrivono: “Lo sciopero della fame di detenuti potenzialmente fino alla morte è una scelta esistenziale drammatica che interpella le coscienze e le intelligenze di tutti”. Di fronte a tutto questo, continuano, “la gravità dei fatti commessi non scompare né si attenua ma deve passare in secondo piano”. Ma “configurare come sfida o ricatto l’atteggiamento di chi fa del corpo l’estremo strumento di protesta e di affermazione della propria identità significa tradire la nostra Costituzione che pone in cima ai valori, alla cui tutela è preposto lo Stato, la vita umana e la dignità della persona: per la sua stessa legittimazione e credibilità, non per concessione a chi lo avversa. Sta qui – come i fatti di questi giorni mostrano nel mondo – la differenza tra gli Stati democratici e i regimi autoritari” .

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