Cala il sipario su ItsArt, il costoso “palcoscenico della cultura italiana” voluto da Dario Franceschini come una sorta di Netflix all’italiana, ma che con solo 140mila abbonati aveva 246mila euro di entrate e costi per 7,5 milioni, rivelandosi così un flop clamoroso ma soprattutto un costoso “carrozzone” cui il ministro Sangiuliano ha deciso di staccare la spina. Cala il sipario dopo un anno e mezzo, ma in scena potrebbe entrare la Corte dei Conti. Esulta il centrodestra, silente il centrosinistra. Il caso dei conti era emerso a giugno, ma a novembre Cassa Depositi e Prestiti che aveva attuato il progetto senza troppa convinzione e senza metterci soldi, con una lettera ha fatto presente lo stato “comatoso” della creatura e della società.
ItsArt era stata pensata durante il lockdown 2020 per fare ossigeno al mondo dello spettacolo e dell’arte messi in ginocchio dalla serrata. La startup è entrata in esercizio l’anno dopo. Franceschini ha voluto che lo Stato, con una propria società, sfidasse i giganti della cultura planetaria mostrando il valore di quella italiana. Come spesso succede, il proposito è lodevole, l’esecuzione discutibile. Basti pensare che nella sua (breve) vita si sono succeduti al comando ben tre amministratori delegati. La piattaforma, del resto, non è mai decollata e molti dei contenuti che venivano proposti a pagamento erano presenti in rete. Così la creatura nasceva senza le gambe per camminare, se non sulla carta (intesa come bigliettoni). Si reggeva infatti sulla partnership tra Cdp al 51% e Chili al 49. Il socio pubblico aveva versato circa 10 milioni, messi dal governo Conte con il decreto “rilancio”, attraverso una convenzione tra Mibact e Cdp, mentre il socio privato ha messo sostanzialmente la piattaforma tecnologica per la distribuzione dei contenuti.
Si parte a maggio 2021, ma a dicembre i risultati sono già disastrosi: secondo il primo bilancio d’esercizio il primo anno di attività ha registrato una perdita di 7,5 milioni bruciati per servizi (5 milioni), beni (1 milione) e personale (900mila euro). Per contro i ricavi sono quasi inesistenti: appena 246mila euro, cui andrebbero tolti per altro i ricavi indiretti frutto in realtà di partnership commerciali (circa 105mila euro) a saldo zero. I ricavi diretti, cioè gli abbonati veri, sarebbero molti meno. Il pubblico pagante infatti oscillerebbe tra i 140 e 200mila euro utenti. Non stupisce allora che la “riserva” da 9,8 milioni messa dal governo si sia esaurita in una manciata di mesi, lasciando il carrozzone in balia di se stesso fino alla liquidazione di oggi. O meglio di fine dicembre, perché ufficialmente sono stati proprio i soci a inviare una lettera al ministero il 29 dicembre scorso annunciando la messa in liquidazione.
ItsArt, ricorda Il Foglio, è la seconda creatura di Franceschi a fare flop. Nel 2015 creò il portale “Verybello.it” che avrebbe dovuto rilanciare l’immagine dell’Italia nel mondo e attirare milioni di turisti. Pure quello fu chiuso dopo mesi. A onor del vero il cimitero di iniziative simili è zeppo di croci, come il famoso “Italia.it” lanciato nel 2004 dal terzo governo Berlusconi costato la bellezza di 22 milioni e resuscitato come “Hub digitale del turismo” con una dote da 114 milioni di euro a valere sui fondi Pnrr. La cifra supera il bilancio annuale di Enit, l’ente che dovrebbe occuparsi del rilancio e dell’aggiornamento del portale. Insomma, non c’è tre senza quattro.