Come scrisse Machiavelli ne Il principe, coloro che diventano “principi grazie alla fortuna lo fanno con poco sforzo, ma in seguito mantengono la loro posizione solo con grande fatica”, mentre coloro “che diventano regnanti grazie alle loro prodezze acquisiscono la loro posizione con difficoltà, ma poi la mantengono facilmente”.

Per l’erede di un’impresa familiare la sfida di tramutare gli stakeholder (letteralmente “chi ha un interesse”) in suoi sostenitori è particolarmente impegnativa: dovrà infatti gestire gruppi con interessi diversi – membri della famiglia, fornitori, clienti, istituzioni, dipendenti – che potrebbero non essere convinti che il successore si sia guadagnato il diritto di sedere sul gradino più alto.

Come accade per i figli delle celebrità, anche gli aspiranti capi delle imprese familiari sono letteralmente sotto gli occhi di tutti fin dalla loro nascita. Quando un rampollo arriva al centro del palcoscenico, gli stakeholder non perdono occasione per sezionare con occhio clinico le sue capacità intellettuali, fisiche ed emotive. Egoisticamente ansiosi di sapere se il leader di nuova generazione li aiuterà a realizzare le loro aspirazioni e li proteggerà dalle insidie, tutti gli stakeholder cercano di formarsi delle opinioni sulle capacità e l’affidabilità dell’individuo durante la sua scalata ai vertici. In altri termini si pongono la domanda: siamo in buone mani?

Però moltissimi “ereditieri di imprese”, essendo cresciuti in una campana di vetro, danno gli stakeholder per scontati e rimangono sorpresi quando qualcuno di loro li ostacola. La conseguenza è che spesso questi leader ‘acerbi’ finiscono con il deprimersi e mollare prematuramente. Cosa devono fare questi capi appena consacrati per essere seguiti dagli stakeholder ?

La mia esperienza indica che gli stakeholder si formano un’opinione sul leader attraverso un processo di indagine definito “test del principe”. Grazie a questo processo, gli stakeholder raccolgono dati, analizzano informazioni e formulano conclusioni sui potenziali leader già molto tempo prima che si sappia ufficialmente che approderanno ai vertici aziendali. Il successo di un Ceo dipende dalla sua capacità di capire, accettare e gestire questo processo.

Dal punto di vista psicologico, il test del principe è il modo in cui i seguaci ‘scrivono’ la storia del leader nella propria mente. Il processo del test del principe può essere disordinato e guidato dalle circostanze, ma mai casuale, in cui possiamo individuare quattro distinti tipi di test da superare.

Test sulle qualifiche: sono valutazioni, quando ancora non hanno avuto un rapporto diretto, basate sui criteri che le aziende in particolare, usano per giudicare le capacità di un capo: l’istruzione formale, le esperienze lavorative in un’organizzazione in cui il nome della famiglia non influisce, le sperimentazioni extraprofessionali e i riconoscimenti che i dirigenti possono citare come prova di sviluppo professionale. Tutto ciò può placare le preoccupazioni degli stakeholder sull’idoneità del successore al suo nuovo incarico e li può indurre ad essere più indulgenti di fronte ai primi errori.

Test autoimposti: sono le aspettative che definiscono i leader stessi e con le quali immaginano che gli stakeholder misureranno la loro performance. I nuovi leader, ansiosi di dimostrare di avere le carte in regola, sono spesso tentati di promettere più di quanto possano mantenere. In questo caso, invece, per guadagnare la fiducia degli stakeholder, inizialmente è opportuno proporre singoli progetti (non complesse strategie di crescita) che possano dare risultati senza essere troppo rischiose.

Test circostanziali: riguardano le sfide non pianificate che i leader devono affrontare. In queste situazioni, gli stakeholder possono osservare il leader alle prese con l’imprevisto e con il relativo stress. Quando un’impresa è in difficoltà, il successore deve mettersi al centro del palcoscenico, senza nascondersi dietro i colleghi più esperti.

Test politici: sono rappresentati dalle sfide poste dai rivali (soprattutto familiari e soci) che vogliono aumentare la propria influenza, spesso indebolendo il leader. È impossibile per chiunque esercitare la leadership senza a un certo punto deludere, infastidire e irritare alcuni gruppi di stakeholder. Bloccare l’implementazione dei piani del nuovo capo, creare una coalizione opposta alla sua base di potere, diffondere pettegolezzi maligni: tutte queste azioni, agli occhi degli stakeholder, servono a testare la capacità del leader di muoversi negli aspetti politici della vita dell’organizzazione e della famiglia.

Sembra un’impresa impossibile? Per alcuni versi lo è. Eppure, molti successori superano brillantemente questi test e dirigono le loro aziende verso grandi risultati. Spesso ci riescono scegliendo un team di consiglieri fidati che in privato mettono in discussione le loro priorità, iniziative e strategie, ma li sostengono quando diventano i parafulmini delle frustrazioni degli stakeholder.

Questo «gruppetto fidato» aiuta i giovani leader a crescere nei propri ruoli ed evita che gli stakeholder li sottopongano a test eccessivi.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Contante, Grillo cita il caso danese: “Niente rapine in banca grazie ai pagamenti digitali. Motivo in più per andare verso il cashless”

next
Articolo Successivo

Prezzi benzina e diesel, Procura di Roma e Guardia di Finanza indagano sui rincari

next