di Savino Balzano
È di poche ore fa la notizia del mancato riconoscimento di un risarcimento, che comunque sarebbe stato poca cosa dinanzi alla tragedia, a seguito della morte di Giuliano De Seta. La vicenda purtroppo la conosciamo tutti, peraltro non isolata: lo scorso 16 settembre una lastra di ben due tonnellate lo ha schiacciato mentre era nell’azienda Bc Service di Noventa di Piave.
Sotto quella lastra moriva Giuliano e purtroppo non era l’unico: la sua storia è simile a quella di Lorenzo Parelli, un ragazzo di soli 18 anni ucciso schiacciato da una trave d’acciaio nell’ultimo giorno di alternanza scuola lavoro alla Burimec di Lauzacco.
Questi ragazzi muoiono stritolati da un sistema che li trascina via dai banchi di scuola, gli insegna che lo studio fine a se stesso non serve a nulla, e che serva apprendere sin da subito le logiche dello sfruttamento, della degradazione, dell’umiliazione: gli studenti hanno provato a protestare contro questo scempio, ma sono stati presi a manganellate in faccia al tempo del governo dei Migliori, dei democratici, di quelli guidati da Mario Draghi.
Alla famiglia di Giuliano non spettano nemmeno i due spicci dell’Inail, dal momento che formalmente non si trattava di un lavoratore, ma di uno studente: alla luce del suo status, non godeva delle coperture specifiche necessarie al riconoscimento di un indennizzo legato alla sua tragica fine. Davvero una vergognosissima beffa: come se fosse morto mentre leggeva un libro di testo scolastico…
Questa vicenda penosa rappresenta davvero efficacemente lo stato di assoluta barbarie nel quale siamo ormai da tempo piombati. È bene sin da subito chiarire che stage e tirocini legati ad alternanza scuola lavoro non siano la stessa cosa, ma ciò che conta è la logica, questa sì comune, che vive dietro tutte queste nuove forme di schiavitù.
Qualsiasi grande multinazionale ha una pagina dedicata alle “offerte di lavoro”: per la verità basterebbe già questo, eppure non lo nota quasi nessuno, a lasciar intendere come il mondo sia stato completamente rovesciato. Sono gli individui, infatti, ad offrire il lavoro (nel mercato del lavoro la domanda di lavoro è infatti rappresentata dall’azienda): siamo invece abituati ormai ad un sistema nel quale la grande impresa, quasi animata da spirito francescano, si muova a compassione ed elargisca opportunità di impiego, come si trattasse di elemosina. E le condizioni ovviamente le impone lei stessa: “sai quanti ne trovo che farebbero questo lavoro gratis solo per sporcare il curriculum?”. La fantasia degli sceneggiatori di Boris, che raccontavano le vicende di uno stagista definito “lo schiavo” dai colleghi, ormai è triste realtà quotidiana per tantissimi ragazzi nel nostro paese.
In tutte le grandi aziende funziona così: si comincia con lo stage. In realtà quest’ultimo è un contratto di formazione, non di lavoro, e lo stagista dovrebbe osservare, apprendere, imparare, svolgere mansioni semplicissime e sempre sotto supervisione di un tutor. Lo stagista non percepisce retribuzione ma un banale rimborso spese (quando c’è!) senza uno straccio di contribuzione previdenziale. Non è manodopera a bassissimo costo, non dovrebbe esserlo perlomeno.
La realtà delle cose è pessima e c’è chi da anni denuncia questo lerciume e ne chiede l’abolizione: nelle pagine di “offerta di lavoro” delle grandi imprese, di opportunità di stage se ne trovano a centinaia ed è uno scandalo: “che male c’è?” dicono alcuni “è un modo per farsi conoscere”. Come se ormai fosse normale l’idea per la quale una persona debba sottoporsi alla schiavitù per un certo periodo della propria vita, prima di avere finalmente il privilegio, perché a questo siamo arrivati, di avere un lavoro.
C’è un’insopportabile ipocrisia di fondo, sicuramente in quello che ostinatamente e follemente continuiamo a definire centro-sinistra (pensiamo solo che la “buona scuola” è l’ennesima schifezza prodotta dal governo Renzi), ma nella società civile e nella cultura in generale. Oggi Cazzullo, e fa benissimo, va in tv a raccontarci col suo libro perché dovremmo vergognarci del fascismo: ora però mi domando cosa possa esserci di più fascista dell’idea di proporre per i nostri giovani disperati “esperienze nella pubblica amministrazione, nelle aziende pubbliche e private, nei cantieri, nelle sedi diplomatiche, negli enti pubblici. Anche senza stipendio” (lo scriveva sul Corriere della Sera nel gennaio 2021). Senza contare i tantissimi imprenditori (ce ne vuole a definirli tali) che per anni hanno lamentato il fatto che i nostri ragazzi vogliano vivere solo di divano e videogames.
E si muore, stritolati da una morsa che da un lato impone l’idea che la cultura debba essere una prerogativa di chi ha mezzi per potersela permettere, dall’altro la malsana concezione per la quale tutto ciò che ti serve sapere riguarda le modalità attraverso le quali devi vivere una vita di sfruttamento e fame.
Ecco, anche qui c’è il tradimento della nostra Costituzione (altro che bussola!), anche su questo dovremmo riflettere, pensando ad un mondo diverso, che veda nel diritto all’istruzione un diritto universale, così come per il diritto al lavoro; che riconosca il diritto ad ambienti di lavoro sani e sicuri, che metta i lavoratori nelle condizioni di pretendere il rispetto delle norme senza la paura di essere licenziati, che garantisca l’eguaglianza sostanziale e una retribuzione utile a garantire un’esistenza libera e dignitosa a tutti noi.