di Eugenio Fofi
Con il nuovo governo e il nuovo anno, si è ricominciato a parlare di riforma costituzionale, presidenzialismo o semipresidenzialismo e l’immancabile instabilità del governo. Ora se sin da bambini una delle poche, pochissime, cose che impariamo sulla Costituzione è che dovrebbe essere la migliore, o quantomeno una delle migliori del mondo, è altrettanto vero che le riforme Costituzionali, che ciclicamente vengono proposte al voto referendario, sembrano volerla appiattire alla media globale (se non più giù) secondo principi che sporadicamente vengono a galla dipendentemente dalle forze chiamate a guidare il paese.
Ora il cambio della Costituzione con indirizzo al presidenzialismo risulta un’evidente stortura cercando di risolvere un problema impedendone la comparsa, quindi senza affrontarlo. Un po’ com’è previsto dall’improcedibilità di oggi al superamento dei due anni per i processi. Prendendo in analisi soltanto la Seconda Repubblica, l’Italia ha visto il susseguirsi di 18 governi compreso l’attuale, in 28 anni e 8 legislature (che si legge elezioni), nello specifico: Berlusconi I, Dini, Prodi I, D’Alema I e II, Amato II, Berlusconi II e III, Prodi II, Berlusconi IV, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte I e II, Draghi, Meloni.
Il perché di questa lista è presto detto. Tre legislature “complete” (conclusesi alla fine dei cinque anni previsti), hanno visto al loro interno 9 governi “diversi” che si sono andati formando e disfacendo tramite rimpasti di governo, alcune volte senza nemmeno il bisogno di cambiare il Presidente del Consiglio (D’Alema e Berlusconi), altre semplicemente perché cambiava il segretario del partito (Letta, Renzi, Gentiloni).
Soprattutto in questi casi, il cambio di governo è conseguenza non di un cambio dovuto all’instabilità, ma al non completo allineamento al capo di turno. Sintomo di una “crisi politico culturale” che si manifesta con il modo di percepire il ruolo delle e nelle istituzioni non tanto nella comunanza di intenti, ma nell’abnegazione alla figura dominante, che è tale fintanto che si trova al vertice.
Tra le proposte più in voga, vi è quella di una garanzia “temporale” del Presidente del Consiglio, che non sarebbe più derivata alla maggioranza in Parlamento e alla legislatura, ma 5 anni derivanti dal voto. Mi chiedo se questo non conferirebbe un potere maggiore alla sola figura senza fornire un contrappeso.
Questo perché un governo si potrebbe trovare in minoranza senza la possibilità di poter far approvare nessuna legge e senza la possibilità di essere sciolto fino a termine della legislatura. Una stasi di governo e del paese lunga 5 anni. L’altra proposta, nelle sue infinite declinazioni, è quella di far votare ai cittadini il Presidente della Repubblica, con la possibilità di legare quest’ultima al Presidente del Consiglio.
Sono mille le formule proposte, una più sconclusionata dell’altra, dal mostro bicefalo tiranno e garante democratico, al semplice spostamento del voto del capo dello Stato dal Parlamento alle urne. Aspettando che venga suggerito il corretto numero di frustate da far corrispondere ai voti contrari in seno alla maggioranza, ci si chiede se non sia meglio ricercare la politica in una coscienza diversa, piuttosto che ricercare l’obbedienza.