Sulle Alpi e gli Appennini manca la neve. Le temperature miti e la mancanza di precipitazioni all’inizio di questo inverno non stanno compromettendo solo la stagione sulle piste da sci. A essere a rischio è, in generale, la salute delle montagne e dei ghiacciai, con conseguenze per la fornitura d’acqua e le coltivazioni, soprattutto nel Nord Italia. Il caldo anomalo delle ultime settimane è anche la spia di una tendenza con cui dovremo fare i conti nel prossimo futuro e che ci porterà a dover ripensare le nostre abitudini e anche la nostra idea di turismo invernale. Ne abbiamo parlato con Antonello Pasini, fisico climatologo del Cnr e docente di fisica del clima all’università di Roma Tre, che sul tema ha da poco pubblicato L’equazione dei disastri (Codice Edizioni).
Professor Pasini, quali conseguenze avrà la mancanza di neve di oggi nei prossimi mesi?
Dovremo vedere come proseguirà questo inverno appena iniziato. Questa stagione è fondamentale per le risorse idriche che consumeremo in estate, non solo sulle Alpi e sugli Appennini ma anche a valle di queste montagne. Per ora la situazione è poco promettente: purtroppo sempre più spesso la persistenza dell’anticiclone africano nel periodo invernale mette a rischio il nostro bilancio idrico. Rischiamo di soffrire un altro anno molto siccitoso come lo scorso. Quello che più ci preoccupa però è il fatto che questa tendenza riguarderà i prossimi anni, al netto della variabilità che il clima ha da un anno all’altro e per la quale in uno di questi potrebbero esserci precipitazioni più abbondanti.
La situazione è ugualmente grave su Alpi e Appennini?
Sugli Appennini non abbiamo ghiacciai. La neve quindi è meno importante per la fornitura ai corsi d’acqua. Sulle Alpi invece i ghiacciai e i nevai sono fondamentali per il bacino del Po, anche di più rispetto alla pioggia. Le risorse idriche per la primavera e l’estate vengono dalla neve sulle montagne, che piano piano fonde (si scioglie, come si dice popolarmente) e poi lentamente va verso la valle.
Nevi tardive potrebbero avere un effetto benefico o, come le piogge, potrebbero facilitare smottamenti del suolo e fenomeni simili?
Le piogge quando cadono su un terreno secco vengono assorbite con meno facilità, soprattutto quelle violente e, come accade ultimamente, concentrate in pochi eventi molto intensi. Questo significa che l’acqua resta in superficie e non defluisce sotto il suolo. È diverso invece per le nevicate tardive, a marzo o ad aprile, che possono essere comunque benefiche per le risorse idriche. Le ondate di freddo, che sono legate ad esse, però possono portare a gelate deleterie per le piante. Con il caldo delle ultime settimane in Calabria e in Campania sono fiorite le mimose e i peschi. Una nevicata distruggerebbe queste e altre coltivazioni.
La mancanza di neve avrà effetti anche sui ghiacciai? Fenomeni come il collasso della Marmolada diventeranno più probabili?
Il problema dei ghiacciai è che, nel momento in cui non sono ricoperti di neve, sono più esposti alle radiazioni del sole. Quindi rischiano di scaldarsi in superficie. L’acqua, che proviene dal ghiaccio fuso, si infiltra e va a lubrificare i punti dove il ghiaccio tocca la roccia, rendendo così più probabili crolli come quello sulla Marmolada del luglio 2022. La copertura nevosa è importantissima per prevenire il ripetersi di questi fenomeni.
La salute dei ghiacciai alpini quindi è a rischio?
I nostri ghiacciai diminuiranno rapidamente in volume e di superficie, anche se riuscissimo a limitare l’aumento delle temperature ai livelli di oggi. Purtroppo, siamo abituati a veder le cose secondo una dinamica umana, per la quale interventi sulle emissioni possono fermare il cambiamento del clima in corso. La dinamica naturale invece è più lenta: i ghiacciai alpini stanno ancora rispondendo lentamente al riscaldamento globale degli ultimi decenni e non sono in equilibrio con il clima attuale.
Quindi anche se le temperature medie rimarranno quelle attuali, perderemo il 30% della loro superficie e del loro volume al 2100.
Questo è uno scenario inevitabile a cui possiamo e dobbiamo adattarci. Se però le temperature aumentassero di 4 o 5 gradi rispetto all’era preindustriale, perderemmo fino al 90% in volume e superficie dei ghiacciai. A quel punto sarebbe difficile ricostituire le risorse idriche della Pianura Padana per l’estate.
Cosa possiamo fare noi e cosa può fare la politica per evitare lo scenario peggiore?
E’ comprensibile che il governo dia ristori a chi gestisce impianti sciistici o ha attività legate alla montagna. Sarà però necessaria una visione strategica per il futuro. Da un lato noi dovremo adattarci alla neve che cade a quote sempre più alte e alla parziale perdita dei ghiacciai alpini, risparmiando acqua, aggiustando i nostri acquedotti colabrodo e cambiando la nostra idea di turismo invernale. Per esempio, al di sotto dei 1800 metri, credo che non sarà più sostenibile sparare la neve artificiale. Molti gestori si stanno attrezzando sugli Appennini, dove è caduta davvero poca neve, affittando mountain bike, al posto degli sci. Per evitare gli scenari peggiori, sarà necessario mitigare le emissioni di gas serra e andare verso un sistema di produzione diverso, al di là delle temperature allarmanti che registriamo di anno in anno.