Sono passati più di tre anni da quanto il Decreto Clima del 2019 è diventato legge, prevedendo un contributo di 5mila euro per chi apriva nuovi negozi o attrezzava spazi per lo sfuso anche nei supermercati. Due bandi: 20 milioni di euro per il 2020 e altrettanti per il 2021. Una novità assoluta per il mercato dello sfuso italiano, ma con parecchi limiti. Ad oggi, intanto, per il primo bando è stata pubblicata la graduatoria dei vincitori, ma su 83 beneficiari pochissimi hanno effettivamente ricevuto il contributo, mentre per il secondo bando (dunque le spese del 2021) la graduatoria non è neppure stata ancora pubblicata. “Il valore massimo di spese ammissibili, poi, è ritenuto esiguo da parte dei negozianti e la graduatoria del primo bando, che vede solo poco più di 200mila euro assegnati su 20 milioni di budget, sembra esserne una conferma” spiega Ottavia Belli, Ceo di Sfusitalia, che chiede politiche durature e sostanziali di sostegno ai negozi di sfuso e zero waste, come “l’abolizione della Tari ed altre tasse”, ma anche l’incremento di “attività di divulgazione e comunicazione con i cittadini e le imprese per facilitare l’accesso a questo tipo di negozi, enfatizzando gli impatti positivi per la persona e per la comunità di una scelta di acquisto veramente sostenibile”.
I limiti del contributo da 5mila euro – Nell’ambito della campagna Carrelli di plastica, condotta insieme e a Greenpeace, ilfattoquotidiano.it aveva già raccolto alcune considerazioni di Ottavia Belli su uno dei limiti della misura, quello di aver coperto solamente le spese sostenute dalle attività nel 2020 e 2021,escludendo i pionieri del settore, ovvero coloro che hanno sostenuto le spese prima del 2020. Ma a questo si aggiungono, dunque, altri problemi. “Un altro limite – spiega – è che riguarda unicamente i negozi che vendono prodotti sfusi. Non è incluso, infatti, il mercato zero waste, prodotti d’uso comune che sono stati riprogettati a monte per consumare meno risorse ed avere un minor impatto ambientale”. Dalla coppetta mestruale allo shampoo solido, fino al detersivo lavatrice in fogli. Tutti questi limiti impattano in modo diretto sulle attività aperte da chi ha deciso di investire in questo settore.
Escluse dai bandi – Certamente su quelle che sono state escluse dai bandi. È il caso di Stefania e Silvia, 37 e 44 anni, che insieme gestiscono il negozio di prodotti sfusi Cuordimamma a Novara. “Il negozio – raccontano a ilfattoquotidiano.it – è aperto da quasi nove anni ed è un punto di riferimento per chi vuole azzerare gli sprechi, ma allo stesso tempo predilige prodotti sani e soprattutto a chilometro zero. Ci siamo ritrovate in questa avventura un po’ per caso dopo altre esperienze lavorative, forse poco appaganti, ma la passione per questo mondo è nata subito e lo amiamo”. Ma non è semplice. “C’è una continua ricerca di prodotti da inserire, l’organizzazione dei gruppi d’acquisto che utilizziamo per i prodotti freschi (sempre km0, ovviamente), la gestione dei social e delle iniziative zero waste, e per fare tutto questo servono continue risorse economiche”. Per questo, quando Stefania e Silvia hanno saputo del decreto del 2019 hanno pensato che qualcuno, finalmente, stesse riconoscendo i loro sforzi. “E invece no… il bando era rivolto esclusivamente a chi aveva effettuato acquisti nel 2020 e nel 2021. E noi? Chi non aveva avuto bisogno di adeguare niente, perché già da anni si dedicava allo sfuso o, anche volendo, non ha avuto le risorse per farlo?” si chiedono. Per le imprenditrici è “assurdo” essere state escluse dal contributo di 5mila euro, che però è andato alla grande distribuzione che dedicava un piccolo angolo allo sfuso: “Proprio quella grande distribuzione che noi piccoli commercianti combattiamo ogni giorno”.
La storia dell’Ape in bottega – Ma c’è stato un percorso a ostacoli anche per chi ha ricevuto (almeno sulla carta) il contributo. È il caso di Luca, 46 anni, una moglie e due figli di 16 e 11 anni. Per 24 anni è stato un dipendente, con una posizione di rilievo e ben retribuita. “Quel lavoro per nulla dinamico e stimolante, mi ha spinto a trovare un hobby che avesse anche uno scopo. Volevo fare qualcosa per il sociale e per la natura” racconta a ilfattoquotidiano.it. Quell’hobby, l’apicoltura, è diventato una passione e durante il lockdown Luca ha maturato la sua scelta, appoggiato dalla famiglia. Due anni fa è nata così l’Ape in bottega “frutto dell’investimento iniziale di quasi tutti i nostri risparmi e del mio trattamento di fine rapporto. Abbiamo provato a vedere se fosse stato disponibile qualche fondo che ci aiutasse – racconta – ma nessuno aiuta chi ha già compiuto i 40 anni e il particolare periodo non offriva nessuna agevolazione”. Luca, però, non ha mollato e, alla fine, il decreto Sfusi è arrivato, diventando legge ad ottobre 2021. “Mi sono subito attivato perché potessimo beneficiare di quel contributo massimo di 5mila euro a fondo perduto. Non sono molti rispetto a tutto l’investimento iniziale, ma il poco si conta, il nulla no” commenta. Luca ha partecipato al bando sperando ogni giorno che uscisse la graduatoria, ha scritto e riscritto più volte e da aprile ad agosto 2022 gli è stato detto che la pratica era in fase istruttoria.
Il contributo che non arriva – Ad agosto 2022 è stato pubblicato il decreto di aggiudicazione e Luca è il settimo in graduatoria. Gli hanno concesso quei 5mila euro di contributo. “Siamo stati felici perché, nel frattempo, stiamo facendo i conti con le bollette raddoppiate, la guerra e la crisi. Per fortuna ho il riscontro dei miei clienti che apprezzano l’attività, che capiscono la mia passione, i sacrifici e le rinunce mie e di tutta la mia famiglia” racconta. Solo che quei soldi non arrivano. A settembre 2022 Luca ha iniziato a chiedere informazioni e gli hanno risposto che le procedure per il bonifico erano in corso. Da allora, altri mesi e, ormai, il nuovo anno. “Quel contributo non serve per andare avanti (anche se sono sicuro che a qualcuno darebbe un po’ di respiro) – spiega l’imprenditore – ma è necessario per affrontare nuove sfide e ampliare l’offerta. Io, per esempio, lo utilizzerei in parte per sviluppare un sito internet e far conoscere di più i prodotti sfusi, zero waste e km zero e, in parte, per rendere più visibile la mia attività anche attraverso i social network. Per il momento, però, tutti questi rimangono solo progetti custoditi nel mio quaderno in attesa di tempi migliori. L’entusiasmo non l’ho perso, ma la fiducia nel contributo e per chi lo eroga sì”.
La pratica “in fase istruttoria” che blocca nuovi investimenti – È ancora in attesa anche Sabina Rosati, milanese di 46 anni, con due figli di 12 e 7 anni. “Due anni fa – racconta – in piena pandemia, con un part-time strasicuro nello studio di papà, ho preso una decisione che ha scosso (e tutt’ora fa impazzire) mio marito. Da anni avevamo iniziato ad adottare uno stile di vita più consapevole del nostro impatto sulla terra, tanti piccoli cambiamenti, poco alla volta. E un giorno ho visto un cartello ‘vendesi’ su un negozio del mio quartiere”. A fine 2020 ha partecipato e vinto un bando del Comune di Milano, aperto un’impresa sociale, LABorà, e acquistato quelle mura. Il bando, però, non finanziava beni durevoli, per cui appena pubblicato il Bando Sfusi 2021 ha subito partecipato sperando di poter coprire la spesa dei nuovi dispenser. “Purtroppo però, del finanziamento ad oggi ancora nessuna traccia: non sono stati ancora rimborsati nemmeno i richiedenti del 2020, figuriamoci noi! La pratica fino a dicembre risultava in “fase di istruttoria”, ma da gennaio è addirittura sparita la pagina dal sito Invitalia su cui controllare lo status” racconta. Certo, è una spesa ormai già sostenuta. “Ma posso assicurare che 5mila euro per un’imprenditrice che si è inventata da zero impiegando tutte le proprie energie e soldi – commenta – darebbero una mano, specialmente ad assumere una persona svantaggiata”.