A Venezia si è chiusa la consultazione pubblica per decidere gli aumenti sdoganati in manovra. Firenze, Siena, Rimini e altre ci stanno pensando. Anche piccoli comuni che mai l'avevano pretesa prima hanno già deliberato di introdurla. Gli operatori del settore temono l'effetto domino e accusano il governo: "Dice di voler sostenere il turismo e poi lo stanga ai primi segnali di ripresa". Per una settimana una famiglia di 4 persone rischia di spendere 280 euro in più
La “stangata sul turismo” potrà partire da Venezia, Firenze, Siena, Pisa, Rimini e Verbania e non fermarsi più, arrivando a contagiare comuni minori, compresi quelli che non avevano mai applicato l’imposta di soggiorno, col rischio di un “effetto domino” sul comparto che il governo Meloni, a parole, diceva di voler sostenere e farne anzi il perno della “ripresa”. Sono i primi sei comuni che, dati alla mano, grazie alla manovra hanno facoltà di aumentare l’imposta portandola fino a 10 euro a persona, per notte. A individuarli è un’elaborazione che il Fatto.it anticipa in esclusiva di Assoturismo Confesercenti, associazione che insieme a Federalberghi e altre ha subito contestato la facoltà di aumentare la norma introdotta prima come emendamento del Pd, poi accolta in Commissione bilancio coi voti della maggioranza e quindi fatta propria dal governo e approvata a fine anno, nel pacchetto manovra 2023.
L’articolo 787 della legge di bilancio rende possibile alzare l’imposta di soggiorno a 10 euro nelle città che, in base alle ultime rilevazioni, abbiano avuto presenze turistiche venti volte superiori a quelle dei residenti, che per una famiglia di 4 persone significa mettere in conto 40 euro in più a pernottamento, 280 euro a settimana. Il calcolo, precisa la norma, deve essere fatto attraverso le rilevazioni Istat e per il triennio 2023-2025 si considera la media delle presenze 2017-2019, saltando così il buco nero del periodo Covid.
Sulla base di queste indicazioni, Assoturismo ha elaborato una prima proiezione, che il Fatto.it riporta in anteprima, dalla quale risulta che i primi comuni interessati sono effettivamente campioni del turismo della Toscana. Il Centro Studi Turistici di Firenze, ad esempio, rileva che Siena nel periodo 2017-2019 ha avuto una media di un milione di presenze (1,07) per 53mila abitanti e dunque ha un indicatore di 20,1 (1 abitante per 20 pernottamenti) e dunque come Pisa da gennaio ha la facoltà di aumentare l’imposta. Ancor di più Firenze, dove l’indicatore sale a 29,1. Fino a casi estremi come Rimini (50) e Venezia (48,6). Anche Verbania è candidata agli aumenti, perché registra un rapporto 1 a 30,5. E’ bastato il “là” per innescare la corsa ai rialzi.
A Venezia è in corso una consultazione pubblica indetta dal Comune per decidere se applicare o meno gli aumenti al “contributo di accesso” alla città. Dall’amministrazione Brugnaro fan sapere che lunedì saranno analizzati i dati e prese delle decisioni. A Siena il tema è dibattuto, anche perché da tempo si registra uno scontro sul destino della tassa che vale 2,3 milioni, con la presidente locale Federalberghi Rosella Lezzi che chiede di utilizzarla per la sua originaria natura, come tassa di scopo a sostegno del turismo, mentre solo il 25% è reinvestito nella sua promozione. Da Piazza della Signoria fanno sapere che a Firenze se ne discute da settimane, da ché l’emendamento è passato in Commissione bilancio, ma una decisione non è stata ancora presa.
Si registra però un primo effetto anche su piccoli comuni a forte vocazione turistica che mai avevano applicato l’imposta prima. Gli importi sono modesti, ma la tendenza è significativa e invisa gli albergatori perché la “tassa” sui turisti non è mai un bel biglietto da visita. Preoccupa poi le associazioni di categoria che temono un “effetto domino” se non un vera e propria “corsa al balzello” per emulazione. E non c’è da dargli torto.
In provincia di Pisa, che è una delle città coi requisiti per il raddoppio dell’imposta, c’è Pomarance, comune arroccato nell’alta Val di Cecina. Conta 5.800 abitanti ma d’estate si gonfia di turisti. “Il caro-bollette impone scelte, lo Stato non ci aiuta”, dice il vice sindaco Nicola Fabiani in difesa della delibera con cui la giunta ha approvato le seguenti tariffe: 50 centesimi per strutture alberghiere a 1 o 2 stelle, 1 euro per alberghi a tre stelle, agriturismi, affittacamere e case per ferie, case vacanze, b&b e campeggi, 1,50 euro per i 4 stelle e gratis per i camper. Di fronte a Verbania poi c’è il piccolo comune varesotto di Laveno Mombello, 8mila anime e una marea di turisti svizzeri e tedeschi. Il vicesindaco e assessore al turismo Mario Iodice ha ritenuto necessario istituire per la prima volta l’imposta, con relativo regolamento, che entrerà in vigore dal primo aprile. Le tariffe deliberate dalla giunta sono di 1,50 (per persona, a notte) per gli hotel a una e due stelle, i campeggi, le case vacanze, gli ostelli, gli affitti brevi. Si sale a 2 euro, sempre per persona a notte, per i tre stelle e a 2,50 euro per i quattro stelle o le categorie superiori.
L’innalzamento dell’imposta di soggiorno si aggiunge ad una serie di misure destinate al turismo che proprio non soddisfano il mondo degli albergatori. A dichiarare il proprio malcontento, tra gli altri, è stato Bernabò Bocca, numero uno di Federalberghi: “Non vediamo alcun intervento strutturale per il nostro settore, siamo coscienti del momento contingente per combattere il caro bollette, ma il prossimo anno in Manovra ci aspettiamo molto di più”. Più arrabbiati ancora i “piccoli”, come Rosa Lotito, referente del gruppo Ospitalità Italiana, case e d’intorni” che rappresenta 1580 strutture e insieme a rappresentanti di B&B aveva promosso una lettera aperta per chiedere per tempo la cancellazione dell’emendamento dalla manovra. Nessuno l’ha aperta, tutti oggi protestano.