Il repubblicano ha ottenuto 216 voti, mentre il leader democratico Hakeem Jeffries si è fermato a 212 e sei rappresentanti si sono astenuti. Secondo la Cnn, ci sarebbe stato un colloquio tra il leader dei ribelli Matt Gaetz, Andy Biggs e l’ex presidente dopo uno scontro quasi fisico tra il neo-speaker e Gaetz
Al quindicesimo tentativo Kevin McCarthy ce l’ha fatta, con lo zampino del suo arcinemico Matt Gaetz e quello di Donal Trump: è il nuovo speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti. Il repubblicano ha ottenuto 216 voti, mentre il leader democratico Hakeem Jeffries si è fermato a 212 e sei rappresentanti si sono astenuti. McCarthy è stato eletto dopo un braccio di ferro estenuante e forti tensioni all’interno del Gop, con un gruppo di una ventina di membri del Congresso che contestavano la sua nomina.
Ma anche l’ultima tornata di votazioni è stata caratterizzata da momenti politicamente drammatici. Dopo il 14esimo voto, infatti, il Gop aveva presentato una mozione per aggiornare il voto a lunedì, ma a stretto giro McCarthy ha trovato un’intesa con uno dei dissidenti, Matt Gaetz, e a quel punto il partito ha deciso di andare avanti con l’elezione. Secondo la Cnn, ci sarebbe stato un colloquio tra lo stesso Gaetz, Andy Biggs e l’ex presidente Donald Trump.
Gaentz, che nelle ore precedenti si era detto ottimista sulla possibilità di un accordo ironizzando persino sul fatto che i ribelli non “avevano più nulla da chiedere” al candidato speaker, ha deciso di astenersi. Una mossa inaspettata che ha irritato McCarthy. Per la prima volta dall’inizio della votazione più lunga della storia della Camera americana – era dal 1923 che uno speaker non veniva eletto il primo giorno e dal 1859, da prima della guerra civile, che non si verificano così tante votazioni – il repubblicano ha mostrato tutta la sua frustrazione. Si è alzato in piedi ed ha affrontato l’avversario.
Tra i due c’è stato un duro scambio di battute, al limite del confronto fisico fino a quando non sono intervenuti altri colleghi di partito. A quel punto, quando sembrava che la seduta dovesse essere aggiornata a lunedì, l’ennesimo colpo di scena. Trump ha telefonato a Gaentz e a Biggs, che aveva votato per un terzo candidato alla 14esima chiama, per convincerli a dare la loro preferenza al ‘suo’ candidato. La pressione dell’ex presidente non ha tuttavia funzionato sul leader dei ribelli, che si è astenuto anche all’ultimo voto, ma senza il voto contrario di Biggs, che si è pure astenuto assieme ad altri quattro dissidenti, McCarthy l’ha spuntata ottenendo i 216 voti necessari.
Evidentemente, oltre al tycoon, hanno pesato le tante concessioni che il neo speaker ha fatto alla fronda dei dissidenti, indebolendo di fatto il suo ruolo di leader della House e consegnandosi per i prossimi due anni nelle mani degli ultraconservatori. Secondo quanto è trapelato sui media americani, i ribelli hanno ottenuto che un singolo deputato possa chiedere un voto di sfiducia per cacciare lo speaker, che il Freedom Caucus, l’ala destra del partito, ottenga un terzo dei membri della potente Rules Committee, la commissione che controlla quali leggi arrivano in aula e in che forma, che si possa votare sulla proposta di limiti di mandato e sulla legge per la sicurezza dei confini. Il californiano ha promesso inoltre che il suo comitato elettorale non si intrometterà in primarie considerate ‘sicure’.
Concessioni che, tutte insieme, non fanno altro che indebolire il ruolo dello speaker. Ma la promessa che avrebbe sbloccato il risultato sarebbe quella di un taglio alle spese per la difesa da 75 miliardi di dollari promesso da McCarthy proprio nel giorno in cui il presidente americano Joe Biden ha annunciato un nuovo ingente pacchetto di armi da 3 miliardi di dollari all’Ucraina. Una mossa che ha accontentato i ribelli del Grand old party ma rischia di irritare i falchi all’interno del partito che invece sostengono la necessità di aumentare il budget per la difesa in chiave anti-Russia e anti-Cina. Quello che è certo è che il drammatico cammino che ha portato all’elezione di McCarthy è indicativo che la gestione della Camera per i prossimi due anni sarà molto complicata e che la fronde degli ultraconservatori peserà più di quanto parte del partito repubblicano potesse immaginare.