Zucchero Fornaciari dovrà risarcire 37mila euro di danni morali a un ex amico che, nel suo libro autobiografico “Il suono della domenica. Il romanzo della mia vita” (Mondadori, 2011), definì un poco di buono, donnaiolo e nullafacente. È quanto ha stabilito il tribunale civile di Massa, riconoscendo l’artista colpevole di diffamazione. Per il giudice Domenico Provenzano, riferisce il “Corriere Fiorentino” dando la notizia della sentenza, le espressioni utilizzate nell’autobiografia sono “lesive della reputazione” e hanno “compromesso le relazioni sociali e familiari della parte offesa, i cui rapporti con la coniuge si sono significativamente deteriorati”. Per Adelmo Fornaciari, vero nome del popolare cantautore, quelle espressioni erano funzionali alla “trama narrativa”. Ma per il giudice si tratta di “espressioni offensive che diversamente da quanto sostenuto dal cantante non sono coerenti” all’intreccio del racconto, e hanno “l’unico effetto di recare discredito” all’ex amico.
Tutto è partito con la pubblicazione dell’autobiografia firmata Zucchero Sugar Fornaciari. Il racconto appassionato di quei frammenti di vita con l’infanzia a Roncocesi, nella campagna emiliana, le prime esibizioni scandite dal blues nelle balere della Versilia e le difficoltà del giovane “straniero” che parlava emiliano aveva fatto il giro del web ed era rimbalzato sui quotidiani e in tv. Così il libro era finito sotto l’albero dell’ex amico del cantautore. Era stata la figlia a donarglielo per un Natale di 8 anni fa sapendo del comune passato tra i due. “Purtroppo, la lettura del romanzo provocò sconforto e malessere nei familiari del mio assistito“, ha spiegato al “Corriere Fiorentino” l’avvocato Alessandro Fontana che ha presentato la denuncia con la collega Catia Buratti. “A distanza di otto anni, il tribunale ha stabilito che alcune espressioni erano riferite in maniera inequivocabile a lui, ledendone la reputazione”.
Quelle espressioni, secondo il giudice Provenzano sono “obiettivamente denigratorie (inducendo nel lettore un giudizio di naturale riprovevolezza circa condotte di tal genere) a prescindere dal tono ironico e dal linguaggio colloquiale con il quale vengono riportate vicende narrate nel testo; tono – conclude il giudice – che di per sé non vale a rendere inveritieri e o non credibili i fatti ed i giudizi descritti ed espressi”.