Autonomia, nomine, Pnrr: i contorni del ring su cui saliranno maggioranza e opposizione a partire da domani, per la ripresa dell’attività parlamentare, si fanno più definiti. Nell’agenda del governo sembrano ingolfarsi molti temi – uno su cui si dibatte molto per esempio è proprio quello dell’autonomia differenziata – ma al momento non è chiaro come l’esecutivo voglia contrastare il caro-vita, a partire dall’aumento degli ultimi giorni del prezzo della benzina per passare dall’inflazione che ha frenato ma fa sentire ancora il proprio peso e soprattutto in Italia cala meno che in altri Paesi. Ed è su questo che parte l’attacco dell’opposizione: “Benzina e gasolio fuori controllo dopo l’aumento delle accise, inflazione al 12%, crollo del potere d’acquisto di stipendi e pensioni – twitta il responsabile Economia Antonio Misiani – Ma il governo Meloni non sa che pesci pigliare e si occupa d’altro: nomine, presidenzialismo, autonomia differenziata. Sono fuori dal mondo”. E’ chiaro: l’onda lunga dei rialzi del caro vita si è ingrossata ben prima che il governo Meloni giurasse al Quirinale. Il problema dell’esecutivo, però, è che quell’onda non si è fermata e, anzi, rischia di travolgere anche l’anno appena cominciato. L’ex ministro Sergio Costa, ora deputato M5s, avverte: “L’attuale scenario internazionale, l’instabilità provocata dall’invasione russa in Ucraina e un Governo, quello italiano, che non sostiene le fasce deboli sono congiunture che il nostro Paese non può sostenere a lungo. Noi stiamo rappresentando in tutte le sedi parlamentari che non è così che si costruisce il futuro”. E perfino Carlo Calenda, che pure la riforma costituzionale sul presidenzialismo è pronto a discuterla, dice che prima di tutto ci sono altre priorità, come la sanità e la scuola. “Abbiamo di fronte un anno difficile – dice al Qn – perché combattiamo con l’inflazione e rischiamo la recessione. Quindi al governo dico: stiamo attenti, con tutte queste emergenze a impantanarci discutendo solo della riforma presidenziale che rischia di non arrivare da nessuna parte”.

Il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, candidato alla segreteria del Pd, aggiunge un ultimo tema: “Se invece di dire di volere cambiare il Pnrr chiamassero ad esempio i sindaci, i presidenti di Regione, i sindacati e le imprese, e discutessimo insieme di come affrontare questo problema che si chiama aumento dei prezzi, che determina il ritardo nella consegna dei materiali che sta portando a chiudere cantieri e il rischio che le prossime gare d’appalto per miliardi di euro d’investimento vadano deserte, perché non conosco imprese che rischiano di saltare a fronte di progetti che costavano 5 e magari ora costano 50”. A parlare oggi, in un’intervista a Repubblica, è stato il segretario della Cisl Luigi Sbarra. “La situazione è molto pesante, ci sono milioni di famiglie in gravi difficoltà – dice – Quest’inverno sarà il più duro degli ultimi trent’anni. Dire no a priori a un patto anti-inflattivo significa legittimare i governi che informano i sindacati solo a decisioni prese”. Sbarra fa appello a tutti, Confindustria compresa: “Governiamo insieme il cambiamento. Ci vuole una forte alleanza per una nuova politica dei redditi, come fu con Ciampi nel 1993. Lo diciamo da tempo. Non si va avanti solo con interventi tampone, seppur indispensabili. Il governo Meloni deve marcare una svolta”.

Se da una parte la maggioranza vuole tentare di camminare unita e soprattutto dare l’immagine di compattezza, nel frattempo si avvicina un altro appuntamento elettorale, quello delle Regionali in Lombardia e Lazio, nel quale il centrodestra sembra più che favorito ma che rappresenta il primo test a pochi mesi dall’insediamento del nuovo governo. Sulle nomine, intanto, è probabile che la maggioranza fissi nuove riunioni nei prossimi giorni: la situazione è di primaria importanza e non riguarda solo un (legittimo) spoils system, ma anche per il fatto che servirà scegliere personalità anche competenti perché in ballo c’è appunto lo sviluppo del Pnrr, specie se la presidente del Consiglio Giorgia Meloni otterrà dalla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen una riformulazione del piano alla luce del caro-vita. Sull’autonomia differenziata, invece, l’ipotesi è che un testo preliminare arrivi in approvazione già entro la fine del mese. C’è già una bozza, ma ancora il governo non ne ha anche parlato. Anche perché, fuori dal merito, l’idea della premier è di far marciare il pacchetto preparato dal ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli con le riforme istituzionali che – tradotto – significa presidenzialismo o qualcosa di simile. Detta così il primo effetto sarebbe di frenare il progetto autonomista dei leghisti visto che per l’elezione diretta del presidente della Repubblica nel caso servirebbe un ddl di riforma costituzionale che necessita – da Carta – tempi più lunghi. Ne viene una specie di partita a scacchi tra alleati, con la preoccupazione di congelare eventuali attriti ma senza concedere centimetri ai soci di maggioranza.

Contro la proposta Calderoli si stanno già muovendo i sindaci (più di uno su 10 ha già firmato una lettera contro il testo), alcune Regioni del Sud sono sul chi va là, le opposizioni puntano sul fatto che manca un fondo di perequazione per evitare Regioni (del Nord) di serie A e altre, con minori capacità di spesa (al Sud) di serie B. Calderoli parla di “timori ideologici”: “Il mio auspicio è che tutti aumentino la velocità: il nord che con l’autonomia può accelerare e un sud che finalmente si avvicini alla velocità del nord. In questo modo cresce tutto il Paese”. Una volta rivista ed eventualmente integrata (cioè corretta) la sua bozza c’è chi non esclude che potrebbe anche arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri per un esame preliminare entro la fine di gennaio. Di sicuro non la prossima settimana perché la premier Meloni sarà impegnata in alcuni incontri internazionali, mentre nel fine settimana parteciperà a una manifestazione di Fratelli d’Italia pre-Regionali in cui – si spiega – rivendicherà le prime mosse dell’esecutivo e rilancerà quel messaggio di ottimismo e di necessità di tornare a “sentirsi comunità”. Non è chiaro se in questi giorni il governo abbia intenzione anche di mandare un messaggio sul caro-vita.

Della benzina si è detto nelle ore scorse (e la polemica non accenna a placarsi) e il ministro Gilberto Pichetto Fratin si è limitato a parlare di speculazione. Secondo una ricostruzione della Stampa il ministero dell’Economia sta chiedendo alla Guardia di Finanza di verificare se è vero. Sull’inflazione pesano le cifre uscite da Istat ed Eurostat nei giorni scorsi. A questo si aggiunge un’elaborazione dell’Unione nazionale consumatori su dati dell’Istat, secondo la quale pane e pasta, da sempre indicati come cibo per tutte le tasche, nel 2022 hanno dato agli italiani “una mazzata” piazzandosi insieme ai cereali al primo posto nella classifica dei rincari dei prodotti alimentari e bevande analcoliche per una spesa di circa 100 euro su circa 513 in più (9,1%) rispetto al 2021 sborsati in media da una famiglia tipo, cifra che può superare i 700 euro per una coppia con due figli. In particolare il pane (fresco e confezionato) e la pasta (fresca, secca e preparati di pasta) hanno visto aumenti rispettivamente di 29 (11%) e 24 euro (17,3%). Al secondo posto i vegetali che, con l’inflazione maggiore di questa graduatoria (+11,8%), sono costati mediamente 92 euro in più a famiglia. Medaglia di bronzo per le carni, con una stangata pari a 87 euro (+7,2%) con il pollame, in particolare, che ha segnato il balzo più alto (+13,4%) e un aggravio di 31 euro. Appena giù dal podio, secondo questa elaborazione, ci sono latte, formaggi e uova (+9,5%, pari a 69 euro). Per la top ten 2022 dei rincari dei prodotti non alimentari, al primo posto per l’inflazione c’è naturalmente l’energia elettrica, “con un astronomico +110,4%”.

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