Fino a quando, all’età di 23 anni, non è andato a Parigi sul luogo dell’incidente e non si è messo a studiare i documenti d’archivio, il principe Harry è stato convinto che sua madre Diana fosse ancora viva e che fosse tutto un piano da lei architettato per fuggire alle luci della ribalta. Lo ha rivelato lui stesso in un’intervista al programma “60 Minutes” su Itv con Anderson Cooper, in occasione dell’uscita della sua scottante autobiografia “Spare“. Il duca di Sussex aveva solo 12 anni quando sua madre Lady Diana morì in un tragico schianto nel tunnel dell’Alma a Parigi, il 31 agosto del 1997: ora, a distanza di quasi trent’anni, è tornato a parlare di quei difficili momenti ammettendo che gli ci vollero “molti anni” per riuscire ad accettare che sua madre fosse davvero morta. “Per molto tempo ho creduto che lei fosse ancora viva. Ho solo rifiutato di accettare che se ne fosse andata. Una parte di me era convinta che lei non ci avrebbe mai fatto questo e che in realtà fosse tutta una messa in scena, un suo piano per fuggire dalla ribalta. Per un po’ ho creduto che fosse viva, illudendomi che un giorno ci avrebbe chiamato dicendoci di andare a raggiungerla. Io e William ne abbiamo parlato a lungo, aveva pensieri simili anche lui…”.
Quindi ha spiegato che all’età di 20 anni ha chiesto di vedere il rapporto della polizia sull’incidente – in cui rimasero uccisi anche il fidanzato di Diana Dodi Al-Fayed e il loro autista Henri Paul – incluse tutte le foto, anche le più raccapriccianti: “Volevo avere le prove. Le prove che lei fosse davvero in macchina. Prove che fosse ferita. E prove che gli stessi paparazzi che l’hanno inseguita nel tunnel erano quelli che stavano scattando fotografie, le fotografie di lei che giace mezza morta sul sedile posteriore dell’auto”. Fortunatamente, il segretario privato di Harry all’epoca lo invitò a non guardare tutti gli scatti e lui si è detto grato per avergli evitato quell’ulteriore trauma: “Tutto quello che ho visto è stata la parte posteriore della testa di mia madre, accasciata sul sedile posteriore. C’erano altre fotografie più raccapriccianti, ma gli sarò eternamente grato per avermi negato la possibilità di infliggermi dolore vedendo altro. Perché questo è il tipo di cose che ti rimangono nella mente per sempre”. Poi a 23 anni è andato a Parigi, sul luogo della tragedia: “Volevo vedere se fosse possibile, guidando alla velocità di Henri Paul, perdere il controllo di un’auto e schiantarsi contro un pilastro uccidendo quasi tutti i passeggeri. Dovevo fare questo viaggio. Dovevo percorrere lo stesso percorso. Perché a William e a me era già stato detto: ‘L’evento è stato come una catena di biciclette. Se rimuovi una di quelle catene, il risultato finale non sarebbe successo’. E l’inseguimento dei paparazzi ne faceva parte. Eppure, tutti l’hanno fatta franca”.
“William e io abbiamo considerato di riaprire l’inchiesta, l’abbiamo chiesto più volte a nostro padre Carlo – ha spiegato Harry nell’intervista -. Perché c’erano così tante lacune e così tanti buchi, ci sono ancora tante cose che non tornano e questo non aveva senso”. Ma con il passare degli anni si è arreso e ora si sente di escludere l’ipotesi di voler riaprire le indagini: “Non so nemmeno se sia un’opzione ora. Ma no, penso – brrrr – ‘Mi piacerebbe farlo adesso?’ È una domanda infernale, Anderson. A dire la verità, no. Non credo di avere le risposte di cui ho bisogno. E non credo che nemmeno mio fratello le abbia. Non credo che il mondo le abbia. Ho bisogno di qualcosa di più di quello che già so? No. Non credo che cambierebbe molto”.