Nei primi giorni dell’anno gli sbarchi di migranti sono dieci volte quelli registrati nello stesso periodo del 2022. I dati sono quelli del Viminale e al 9 gennaio indicano 3.673 persone sbarcate rispetto alle 378 arrivate alla stessa data dell’anno scorso e alle 287 del 2021. Difficile sostenere che sia colpa delle Ong, come ha sempre sostenuto il governo parlando di pull factor, che continuano a sbarcare solo il 10 per cento dei migranti che giungono via mare. Come già in passato, gli altri arrivano per conto loro o vengono salvati dalla Guardia costiera italiana. Eppure l’attività del governo rimane concentrata su quel dieci per cento e sul tentativo di ostacolare le Ong. I risultati? Il decreto-legge per far rispettare loro il diritto internazionale, come già scritto da ilfattoquotidiano.it, è per lo più inapplicabile proprio perché in contrasto con le norme sovranazionali garantite anche dalla nostra Costituzione. Non resta che la strategia in atto, quella di spedire le navi umanitarie verso i porti del Centro-Nord, a giorni di navigazione. Scelta politica poco giustificabile sul piano del diritto, visto che la Guardia costiera continua a sbarcare nei porti siciliani e calabresi. Ma soprattutto un misero bottino per chi si è insediato al grido di “è finita la pacchia” e si ritrova con gli sbarchi in aumento esponenziale.

Gli approdi del 2023 già superano di tre volte il totale degli arrivi dello scorso gennaio. Il cruscotto aggiornato quotidianamente dal dipartimento della Pubblica sicurezza del ministero degli Interni non è il miglior modo di cominciare il nuovo anno per il governo di Giorgia Meloni. Secondo i dati del Viminale, i primi nove giorni del 2023 sono tutti al di sopra delle cifre registrate l’anno scorso. Gli sbarchi sono in crescita costante e dal dopo pandemia non hanno fatto che aumentare. Erano 67 mila nel 2021, più di 100 mila nel 2022. Quelli dello scorso dicembre già più che raddoppiavano gli arrivi dello stesso periodo del 2021. Colpa delle Ong? Della loro presenza che secondo il governo spinge i migranti a mettersi in viaggio? Da ottobre le navi umanitarie hanno salvato meno del 10 per cento di chi arriva via mare. Il grosso, infatti, continua a farlo la Guardia costiera che ha portato in salvo 2.000 naufraghi sul totale di 3.673 persone arrivate nel 2023, il 54 per cento. E non solo in acque italiane o in zona SAR (search and rescue) di nostra competenza. Numeri dei quali in passato si è fatto vanto e dei quali oggi la Guardia costiera non può parlare, soprattutto con la stampa, per volere della politica. Quasi quegli sbarchi non esistessero, quasi a sbarcare fossero soltanto le persone soccorse dalle Ong.

Il governo Meloni ha appena quattro mesi, ma sulla rotta del Mediterraneo centrale ha speso parecchio fiato. Con le Ong tornate ad essere il nemico numero uno tanto che il ministro degli Interni Matteo Piantedosi ha addirittura detto il falso di fronte al Parlamento pur di sostenere che non rispettano le regole e che serviva una stretta. Niente blocco navale però, come Fratelli d’Italia diceva in campagna elettorale. Che ne è stato di quella promessa lo ha spiegato lo stesso premier nella conferenza di fine anno: “Il blocco navale per come lo intendo io è una missione europea”. La stessa Europa che di fronte agli sbarchi selettivi imposti dal Viminale alle navi Geo Barents e Humanity 1 lo scorso ottobre non ha fatto altro che ricordarci l’obbligo di rispettare il diritto internazionale che regola i soccorsi in mare. Mentre sul codice di condotta Ue per le navi come per la redistribuzione degli arrivi, dopo lo scontro con la Francia non se n’è più fatto nulla. Più concretamente, la partita europea rimane quella del Patto sulla migrazione. Ma la riforma che dovrebbe rimettere mano al regolamento di Dublino sulla ripartizione dei richiedenti asilo si attende da anni e ancora si farà attendere: “Per approvare il Patto sulla migrazione abbiamo tempo fino al primo trimestre 2024, questa è la tempistica”, ha detto l’ambasciatore della Svezia nell’Ue Lars Danielsson nella conferenza stampa per l’avvio della presidenza svedese del Consiglio Ue.

Più modestamente, Meloni e Piantedosi hanno preparato un decreto-legge sulle Ong. Approvato in Consiglio dei ministri senza il testo definitivo, tanto che le anticipazioni di alcuni giornali hanno messo al fuoco più carne di quanta poi non ci fosse davvero. Anzi, a ben guardare il nuovo decreto sicurezza dell’esecutivo è un’assunzione di responsabilità da parte dell’Italia, che applica le convenzioni internazionali accettando di coordinare operazioni di soccorso anche esterne alla zona SAR di sua competenza, cosa che in passato aveva evitato di fare, non rispondendo alle navi e negando poi di aver ricevuto le loro comunicazioni. Quanto alle nuove regole imposte alle organizzazioni umanitarie, la trovata di costringere il comandante a chiedere l’assegnazione di un porto sicuro subito dopo il primo salvataggio (cosa che già accadeva, ndr), e di non operare ulteriori soccorsi se non autorizzati dalle autorità italiane, contrasta con le convenzioni internazionali. E infatti è già stata smentita nei fatti nei giorni scorsi, quando la Geo Barents di Medici Senza Frontiere, con a bordo un primo gruppo di naufraghi si è diretta verso un’altra segnalazione di pericolo nonostante le fosse già stato assegnato il porto di Taranto. La decisione obbligatoria del comandante non ha comportato conseguenze rispetto allo sbarco, poi regolarmente avvenuto. Più che un decreto, un po’ di propaganda durata giusto il tempo di qualche titolo di giornale e di una verifica normativa.

A quanto pare, di tante parole rimane l’attuale strategia di dirottare le operazioni di salvataggio operate dalle Ong verso porti più lontani. Livorno, Ravenna, Ancona. Con molti più giorni di navigazione che aumentano i costi, ma soprattutto la sofferenza di chi ha bisogno di assistenza medica, come la storia della migrazione nel Mediterraneo insegna. Il 54 per cento dei migranti sbarcati, quelli soccorsi dalla Guardia costiera, continua a toccare terra nei porti del Sud, primi fra tutti quelli siciliani. Per loro non sembra valere l’esigenza di “sgravare Sicilia e Calabria che non devono essere condannate a diventare il campo profughi d’Europa”, come ha ripetuto oggi il ministro Piantedosi dopo aver respinto le proteste di Ocean Viking e Geo Barents costrette a quattro giorni di viaggio verso Ancona e col meteo in peggioramento. “Sono navi grandi, che in passato sono state in mare anche per 2 o 3 settimane in simili condizioni meteo, che non sono proibitive”.

Come si giustifica il trattamento riservato ai soli naufraghi soccorsi dalle navi umanitarie? Le convenzioni internazionali indicano per gli Stati l’obbligo di cooperare perché il salvataggio si concluda nel minore tempo possibile con lo sbarco in un porto sicuro, e di tenere in considerazione le esigenze manifestate dal comandante della nave. “Stiamo parlando però di indicazioni convenzionali che lasciano un certo margine di discrezionalità agli Stati”, ha spiegato ad Altreconomia Francesca De Vittor, ricercatrice in Diritto internazionale all’Università Cattolica di Milano. Insomma, non riuscendo a fare altro e mentre gli sbarchi aumentano, il governo disattende ancora quanto indicato dalle norme internazionali confidando che, almeno in questo caso, a fargli causa dovranno essere gli stessi naufraghi o lo Stato di bandiera della nave. Poco importa se a rischio sono anche i diritti umani di chi viene soccorso in mare. “Ritardare il soccorso medico a quelle persone, se non è dovuto a esigenze che possono essere spiegate con ragionevolezza, costituisce violazione dei loro diritti fondamentali garantiti sia dalle convenzioni internazionali sia dalla nostra Costituzione”, aggiunge la docente, che tuttavia non confida che la soluzione possa venire dai tribunali. Piuttosto, rilancia, “un ruolo importantissimo può essere giocato dai parlamentari che dovrebbero sistematicamente interrogare il governo sulle ragioni della determinazione di porti di sbarco tanto lontani. Non dimentichiamo che l’esecutivo è responsabile delle proprie scelte verso il Parlamento”.

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