Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia nel 2001, è uno degli economisti più noti e apprezzati al mondo, anche dal grande pubblico per la sua versatilità e chiarezza nello spiegare in modo comprensibile anche ai non “addetti ai lavori” i grandi segreti della macro-economia, dominio quasi incontrastato delle grandi Banche Centrali del mondo. Ebbene, proprio lui, in dicembre, nel numero dedicato alle previsioni economiche per il 2023, ha voluto concludere il suo articolo, sostanzialmente dedicato al tema dell’inflazione monetaria globale, con un accenno di preoccupazione persino superiore, richiamando all’attualità del 2023 una minaccia che tutti ormai davamo per superata.

La minaccia a cui allude il premio Nobel è quella di risorgenti simpatie per comportamenti fascistoidi non ancora completamente organizzati, come fu negli anni 20 il fascismo italiano, e come lo descrisse durante e alla fine della Seconda guerra mondiale Friedrich Von Hayek nel libro The road to Serfdom che è sostanzialmente una “bocciatura” dell’ideologia socialista autoritaria, principale responsabile del successivo avvento fascista (anti-sovietico). Il titolo che Stiglitz ha dato al suo articolo è infatti “The road to fascism” (La via per il fascismo) non per negare la necessità di attuare politiche di sostegno alla popolazione più bisognosa schiacciata da necessità economiche generate dal Covid e dalla guerra, ma per suonare l’allarme contro le “cellule filo-fasciste” che spuntano un po’ ovunque anche nei paesi che sembravano governati in sistemi di solida democrazia liberale (non solo in Europa ma persino negli Usa con un chiaro riferimento a Trump).

Stiglitz quindi critica decisamente le politiche di incremento dei tassi allo scopo di fermare una inflazione galoppante un po’ in tutto il mondo ma avviata proprio negli Usa durante tutto il 2021 e 2022 in molti modi soprattutto allo scopo di sostenere l’economia Usa durante il terribile periodo del primo anno di Covid-19, attraversato proprio in piena fase elettorale tra Biden e Trump che hanno entrambi abbondato nei sostegni di ogni tipo a imprese e persone, incluse le adorate (dal popolo) “elargizioni cash” (il cosiddetto “Helicopter money”), con migliaia di dollari versati direttamente sui conti bancari dei cittadini non ricchi, ma anche con molti altri mezzi a sostegno delle imprese medie e piccole (con un debito pubblico aumentato però di circa 5 trilioni di dollari nei 4 anni di presidenza Trump).

Naturalmente, nel corpo dell’articolo, Stiglitz spiega con chiarezza come la scelta operata dalle Banche centrali di alzare i tassi di sconto allo scopo di frenare l’inflazione e avviare rapidamente un ritorno a tassi bancari sostenibili per tutti è indispensabile ad evitare una probabile pesante recessione (che solo gli speculatori professionisti desiderano).

E’ però un criterio semplicistico, perché tratta le “inflazioni” come se fossero tutte uguali (quella europea e quella americana hanno fattori scatenanti diversi). Il rialzo dei tassi è il metodo più semplice da applicare e dà risultati sicuri, ma agisce sul piano monetario non su quello che ha scatenato la crisi (es. i costi di gas, petrolio ed elettricità) quindi produce effetti ingiusti sul piano fiscale poiché colpisce le categorie meno attrezzate (i settori del reddito fisso e dei pensionati) a sopportare variazioni di costo così forti su questi beni.

In realtà i governi potrebbero fare molto di più, se volessero evitare questi disastrosi improvvisi impoverimenti. Organizzando meglio i propri interventi (molti economisti citano gli esempi di Norvegia e Finlandia) i governi potrebbero evitare molti dei problemi che, specialmente nell’Europa Centro-Meridionale, ricadono malamente sulla gente comune.

Anche nel precedente articolo dello scorso 8 dicembre: “All pain and no gain from higher interest rate” (Solo dolori e nessun guadagno dai tassi alti) Stiglitz spiega esplicitamente che la decisione delle Banche centrali di scaricare sui poveri e sui marginalizzati (specialmente i “neri”) il peso della recessione non è una scelta “tecnica” bancaria ma una scelta di comodo (meno lavoro per essi stessi e meno pesi per i clienti “speciali”).

Stiglitz non è l’unico “Nobel Laureate” a sostenere questa tesi, anche Paul Krugman (Nobel 2008) e diversi altri sostengono che la scelta di far guerra all’inflazione alzando i tassi è solo la soluzione più semplice poiché in casi come quello attuale (l’inflazione è generata da fattori esterni non da spese sconsiderate per motivi politici) si può agire tranquillamente con interventi mirati a sostegno dei settori o delle categorie colpite, senza “prendere una clava per ammazzare una mosca” (l’esemplificazione è mia).

Krugman cita l’amico economista Blanchard che spiega: “Le imprese che alzano i prezzi e i lavoratori che chiedono una paga più alta, non fanno questo perché la disponibilità di soldi è cresciuta, loro cercano solo di guadagnare di più per ciò che fanno. Ma se le condizioni dell’offerta non cambiano anche il prezzo non cambierà. L’inflazione sale solo quando gli obbiettivi sul prezzo vengono raggiunti senza essere giustificati dal valore del bene trattato”.

In Europa però tutte queste azioni sono molto complicate anche dal fatto di avere una moneta unica ma di non avere ancora una fiscalità unica.

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