La sicurezza energetica è strettamente legata all’evoluzione del clima, come abbiamo discusso la scorsa settimana in questo blog. E non ha senso affrontarla con i paraocchi settoriali, senza una visione d’insieme. Qualunque soluzione circoscritta ai sistemi energetici è destinata a fallire senza una strategia coordinata di risposta al cambiamento del clima e di gestione sostenibile del ciclo dell’acqua.
Tra i settori economici più sensibili al riscaldamento globale, il settore assicurativo è in prima fila. Disastri causati da eventi estremi come incendi, uragani e inondazioni — assieme a gelate e ondate di calore, frane e colate detritiche, mareggiate e tempeste di vento — non soltanto si stanno verificando con più frequenza, ma impattano anche sulla società in modo sempre più gravoso. E la gravità degli impatti è soprattutto dovuta a scellerate politiche territoriali ed energetiche. Di conseguenza, le assicurazioni devono affrontare rischi finanziari sempre più alti e rimborsare i sinistri con risarcimenti sempre più elevati. A loro volta, gli assicurati pagano premi sempre più salati per difendere le loro case e le proprie attività.
Con la crescita dei rischi e dei premi, per molta gente l’assicurazione potrebbe diventare troppo costosa. Per alcune persone, proprietà e attività, il rischio di subire danni o di distruzione potrebbe crescere a tal punto che le compagnie non saranno più disposte ad accendere una polizza. Nello stesso tempo, la popolazione a rischio aumenta vertiginosamente, soprattutto nelle zone costiere, quelle più sensibili, che costituiscono il polo preferenziale di attrazione. In un paese come gli Stati Uniti, dove il sistema assicurativo gioca un ruolo essenziale nelle strategie di adattamento climatico, circa il 40 percento della popolazione costiera è a rischio. Come pagare i danni? Come distribuire il rischio? Come affrontare l’incapienza? In tutto il mondo, la resa dei conti è vicina.
Il mercato dei cat bond, le obbligazioni-catastrofe, è attivo e fiorente, come ho descritto in Bombe d’acqua (Marsilio, 2017). In molti paesi avanzati l’adattamento finanziario è una risorsa abbastanza sfruttata da famiglie e industrie; assai meno in Italia, lo “sfasciume pendulo sul mare” che, nel 2022, ha vissuto alcune tra le peggiori ondate di calore della storia (v. Figura).
E il cambiamento climatico sta anche stimolando nuovi tipi di assicurazione. Per esempio, l’assicurazione può aiutare a salvaguardare una barriera corallina. Al largo della costa del Belize, sulla riva orientale dell’America Centrale, la barriera corallina protegge la gente delle comunità costiere. Man mano che gli uragani colpiscono con più intensità e frequenza, la barriera – patrimonio Unesco dal 1996 – è sempre più vulnerabile e richiede indispensabili ma costosi interventi di manutenzione.
Un’assicurazione “parametrica” stipulata dal governo aiuta ad affrontare la sfida. Allorquando si verifica un evento meteo-marino che supera i parametri stabiliti — per esempio, un uragano che superi una certa grado di intensità — il governo ottiene un risarcimento, grazie al quale intervenire per risanare la barriera corallina.
La sfida più ardua riguarda la progettazione di prodotti assicurativi innovativi contro i rischi potenzialmente catastrofici, adeguati al mercato. Il settore privato può offrire con profitto questi prodotti a un prezzo che la gente sia disposta a pagare – e soprattutto possa permetterselo? È un vero dilemma, perché la gente che ha più bisogno di una protezione assicurativa è quella che meno se la può permettere. Senza una reale collaborazione tra pubblico e privato, con molta probabilità questa sfida verrà persa.
Alcuni governi intervengono direttamente nel mercato delle assicurazioni contro i disastri, giacché gli eventi catastrofici mettono a repentaglio il sistema assicurativo. Le perdite dovute ai gravi incendi californiani del 2017 e nel 2018 è costata alle assicurazioni una cifra più che doppia di quella accumulata da 30 anni di profitti del settore assicurativo immobiliare. E il governo locale è intervenuto a ristoro. Altri governi si preoccupano di evitare le ricostruzioni quando diventano troppo rischiose. Per esempio, gli Stati Uniti hanno varato un programma federale di acquisizione fondiaria: la mano pubblica acquisterà le aree ripetutamente allagate e proteggerà quei sedimi da insediamenti futuri, evitando che altre persone vi si trasferiscano.
L’efficacia delle riallocazioni è ovunque molto bassa, soprattutto per i tempi lunghi dei ristori dopo un disastro, anche anni e anni. In questo caso, gli assicuratori privati potrebbero consentire alla gente di riscuotere i crediti e utilizzare questi soldi per trasferirsi in luoghi più sicuri. Per contro, gli istituti di credito che controllano il flusso finanziario spesso vogliono che si ricostruisca sullo stesso sedime, in ossequio a una ottica fondiaria tradizionale.
Per avere premi assicurativi sostenibili, bisogna anche investire in misure che possano ridurre danni e perdite. Nel caso delle inondazioni, un libro sulle azioni di salvaguardia a scala locale che pubblicai nel 2019 (Flood Proofing In Urban Areas, Springer) ha avuto un discreto successo – non in Italia. In molti paesi europei queste misure sono incentivate dalla mano pubblica, laddove la resilienza fisica e sociale va a braccetto con la mitigazione economica tramite lo strumento assicurativo. E non si tratta solo di difendere le case, gli isolati e gli stabilimenti, ma anche di agire a scala più ampia, per esempio con interventi eco-forestali.
L’educazione al rischio è fondamentale. In particolare per le famiglie che stanno affrontando localmente rischi specifici, in rapida evoluzione. Sfortunatamente, le famiglie difficilmente possono istruirsi da sole e vanno perciò aiutate con politiche e strumenti adeguati.