“Sui balneri non è più tempo di esitazioni”, dice Maurizio Gasparri che ha appena firmato un emendamento al Milleproroghe per mandare in soffitta le gare per un almeno altro anno, meglio due o due. Con buona pace dell’Europa, che ci tiene sotto procedura d’infrazione, del Pnrr e perfino del Consiglio di stato, che si è espresso per imporre la scadenza delle concessioni a fine 2023. Dice Gasparri che “non ci sono i tempi tecnici per trovare una soluzione definitiva entro il 2023”, e per questo ha deciso di proporre la “proroga di tutte le scadenze di uno o due anni”. La commedia sulle concessioni prosegue anche d’inverno. Dopo Fratelli D’Italia, con la Santanché già ministro del Turismo ma senza la delega perché proprietaria del Twiga e titolare della relativa concessione, a intestarsi l’iniziativa è dunque il senatore forzista, perché Forza Italia e Lega sono gli altri partiti che hanno cavalcato i malumori dei gestori promettendo di mandare la palla delle gare in tribuna e di condizionarle a generose compensazioni degli investimenti fatti. Non sapendo bene a che chiodo appendere la questione stavolta, Gasparri lo trova in una cartina, una “mappatura reale e omogenea delle nostre coste per dar seguito a quanto deciso nella legge della concorrenza e trovare una soluzione definitiva” dice. Un discorso che ricorda quello della famosa mappa dei sin, i siti di interesse nazionale tra cui si doveva eleggere la sede del deposito nazionale delle scorie che mai si trova e tiene banco da anni. E siamo ancora qui oggi a chiederci “questo barile dove lo metto”?

In realtà l’espediente non è nuovo o originale. Già il governo Draghi si era riparato con la “carta” dalla patata bollente. Era settembre dell’anno scorso e un Cdm istituì una banca dati per la ricognizione di tutti i beni pubblici affidati ai privati. Anche questa operazione era appesa a un cavillo, giacché la normativa sulla concorrenza che si rifà alla celeberrima direttiva Bolkestein, da cui tutto discende, all’art. 2 prevede “la mappatura e la trasparenza dei regimi concessori dei beni pubblici”. Definizione generica e quasi ovvia che in Italia però non si può dar per scontata. E allora ecco che nasce, su impulso dell’ex governatore della Bce, il “sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici” presso il Mef che in sigla fa “Siconbep”, che impone agli enti locali nuovi adempimenti di comunicazione per i quali si prevedono tempi lunghi, che non spiacciono a molti.

La mappatura infatti non riguarda solo le spiagge, bensì “tutti i beni appartenenti al demanio e al patrimonio indisponibile (…) che formano oggetto di atti, contratti e convenzioni comportanti l’attribuzione a soggetti privati o pubblici dell’utilizzo in via esclusiva”. Significa che il censimento telematico si concluderà quando i deputati avranno più capelli grigi dei senatori, alle calende greche. Ma non bastava ai ministri del Carroccio che, in piena campagna elettorale, han voluto mostrare ai titolari di concessioni da che parte stava votarono contro in Consiglio dei Ministri. Il ministro Garavaglia espresse un “no” preventivo, i colleghi Giorgetti e Stefani a seguire. Così, il primo dei due decreti utili per la riforma del comparto ha finito per scontrarsi anziché allinearsi al secondo, che discende sempre da una delega al governo contenuta nella legge sulla concorrenza ma riguarda i criteri con cui costruire le gare per le nuove concessioni e la definizione (questo il vero punto di tutta la commedia) degli indennizzi per i titolari di concessioni uscenti. Decreto che è poi rimasto bloccato. Così passano i mesi, tanti che il termine per il primo decreto, quello che definisce la costituzione e il coordinamento del sistema informativo sui beni in concessione, scade a febbraio. Termine che consente oggi a Gasparri di dire “non si fa in tempo”.

Il tempo è però solo una tra le variabili indipendenti della pantomina continua sulle concessioni che va in scena da decenni. L’indomani dell’approvazione del Siconbep, per dire, IlSole24Ore fece sommessamente notare che quel coniglio estratto dal cilindro era solo un inutile duplicato, perché un sistema analogo c’è da anni, bastava farlo funzionare. Anzi sono due. Il primo è il progetto Patromonio-Pa, varato con un decreto nel lontano 2010 che già prevede attualmente l’obbligo di comunicazione annuale al Dipartimento del Tesoro, da parte delle amministrazioni pubbliche, dei dati relativi ai beni dati in concessioni oltre a quelli che riguardano beni immobili (fabbricati e terreni) e partecipazioni. Ma c’è di più.

Per le concessioni balneari esiste già – dal lontano 1993 – uno specifico portale istituzionale: si chiama “Sid” (Sistema informativo demanio- Portale del mare) ed è gestito dal ministero delle Infrastrutture e mobilità sostenibili. Il sistema è georefenziato, agganciato al catasto e consente anche la ricerca per soggetto. Quello in foto, per dire, è il famoso Twiga di Forte dei Marmi del ministro del Turismo. Si vedono i fabbricati, i confini, la linea di costa. Manca solo il contratto con relative tariffe per garantire l’agognata trasparenza. E si vedrebbe a colpo d’occhio come uno stabilimento che nel 2021 ha reso 6 milioni di euro l’anno versi allo Stato 17mila euro. Meno dei 26 mila euro che lo stesso Twiga ha versato lo stesso anno a Fratelli d’Italia.

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