“Mi pare che siamo di fronte a una sorta di depenalizzazione camuffata, che mette in un angolo le persone offese: nessuno tocchi Caino, certo, ma nessuno tocchi Abele“. Così Luigi Riello, procuratore generale di Napoli, commenta una della novità più contestate della riforma penale dell’ex ministra Marta Cartabia, entrata completamente in vigore il 30 dicembre scorso: la trasformazione retroattiva di una serie di reati da “perseguibili d’ufficio” a “perseguibili a querela“, cioè solo su richiesta formale della vittima. E non si tratta di fattispecie di poco conto: ci sono i furti aggravati, le lesioni personali stradali gravi o gravissime, le truffe, le violenze private e i sequestri di persona non aggravati. Una norma pensata per abbattere il carico di processi, che però sta già mostrando i primi effetti distorti, perché in molti casi non è facile rintracciare le vittime che dovrebbero sporgere querela: Riello fa l’esempio dei “furti ai danni di turisti, purtroppo molto frequenti nel territorio napoletano“. “Non vorrei che si diffondesse la convinzione che l’unico modo per fare i processi sia quello di non farli, farli abortire, eliminarli fisicamente”. E avverte: “Se per vedere staccati gli assegni del Pnrr dobbiamo buttare a mare i processi, io non ci sto”.
“Rendere perseguibile a querela di parte addirittura il sequestro di persona, e varie figure di furto aggravato, mi sembra concretizzare un disinteresse dello Stato per gravi rotture del patto sociale, lasciando le vittime alla mercé degli autori dei reati che – nelle zone infestate dalle mafie – avranno terreno fertile nel dissuadere le vittime a querelare“, afferma Riello. E sottolinea che “ciò crea problemi, per esempio, per i processi direttissimi, come recenti vicende, assurte alla ribalta della cronaca, dimostrano“. Il procuratore ammette “i tempi biblici della nostra Giustizia sono certamente inaccettabili e non degni di un Paese civile e moderno”. Ma, ricorda, “le raccomandazioni della Commissione europea riguardavano la scarsa efficienza del sistema giudiziario italiano, le lentezze procedurali, i mancati filtri agli appelli, la necessità di abbattere fortemente l’arretrato”, e non certo l’impunità indiscriminata. Pertanto, a suo giudizio “era necessaria – quanto al processo penale – una riforma strutturale da tempo reclamata che coinvolgesse soprattutto i tempi, il sistema delle impugnazioni, e anche le complicazioni relative ai tanti adempimenti formalistici, etc. La strada scelta è stata quella positiva (che apprezzo) di modernizzare, di digitalizzare il processo, di realizzare nuove assunzioni di personale. Non mancano altri profili decisamente apprezzabili. Ma quanto alla perseguibilità a querela di molti reati, se per taluni posso concordare, francamente per altri, di particolare gravità e allarme sociale, no”.
Sulla stessa linea l’ex presidente dell’Anm Eugenio Albamonte, pubblico ministero a Roma, che ribadisce all’Ansa le critiche già espresse in un’intervista al fattoquotidiano.it: “La riforma Cartabia, entrata in vigore da pochi giorni, sta già avendo effetti nel lavoro delle Procure lasciando esposte le vittime, anche quelle che hanno subìto un semplice borseggio. A mio modo di vedere la modifica per alcune fattispecie, prima erano perseguibili d’ufficio e ora solo previa querela come ad esempio il furto aggravato, può avere un impatto anche dal punto di vista sociale”, dice. “Prendiamo, ad esempio una città come Roma in cui lavoro da anni, dove ogni giorno si consumano tantissimi furti ai danni di turisti che trascorrono in città solo alcuni giorni. Per chi indaga diventa un lavoro improbo rintracciare le vittime una volta che sono ripartite per acquisirne la denuncia. In questo modo rischiano di restare impuniti una galassia di reati ai danni di semplici cittadini e si assisterà, tra qualche settimana, a scarcerazioni di delinquenti che abitualmente mettono in atto condotte illecite di questo tipo”, aggiunge Albamonte. Altro discorso per i reati come il sequestro di persona o la violenza privata. “In questo ambito il fattore ambientale è determinante. Si tratta di reati che avvengono in contesti criminali in cui la vittima è spesso totalmente assoggettata e denunciare diventa una scelta di coraggio perché deve vincere le paure e le intimidazioni a cui è sottoposta”.
Intanto in settimana, forse già mercoledì, ci sarà una riunione di governo per fare il punto sulla riforma dell’abuso d’ufficio, una delle priorità nel programma del Guardasigilli Carlo Nordio. Il ministro si confronterà con il suo vice Francesco Paolo Sisto (Forza Italia) e con i sottosegretari Andrea Ostellari (Lega) e Andrea Delmastro delle Vedove (Fratelli d’Italia): il nodo da sciogliere è se cancellare del tutto il reato, all’origine della “paura della firma” da parte degli amministratori locali o se modificarlo parzialmente. Il ministro, che vorrebbe licenziare la riforma entro fine mese, si è espresso per l’abolizione, prevista tra l’altro da un disegno di legge presentato alla Camera da Enrico Costa di Azione. Sempre a Montecitorio è depositato anche un ddl di Forza Italia che riscrive il reato rendendo punibile il pubblico ufficiale solo se omette “consapevolmente” di astenersi quando è in conflitto d’interesse o provoca “direttamente” ad altri un danno ingiusto, restringendo ancora la condotta punibile, già ridimensionata da una riforma entrata in vigore nel 2020, in seguito alla quale sono punibili solo violazioni di regole “espressamente previste dalla legge (…) e dalle quali non residuino margini di discrezionalità“.