A Bologna il centro storico è in mano a due gruppi criminali organizzati, che si dividono il mercato dello spaccio. Uno tratta le droghe pesanti, il secondo gestisce le droghe leggere e quelle chimiche, le droghe sintetiche e il crack. A cercare di arginare le loro attività sono i Carabinieri. La loro opera di contrasto è documentata in una delle cinque puntate della nuova stagione di Avamposti, la docu-serie firmata da Claudio Camarca, che racconta la quotidianità del lavoro dell’Arma. “La novità rispetto alle stagioni precedenti”, spiega il regista e documentarista romano, “è rappresentata dall’aver seguito le attività dei nuclei operativi, di quei carabinieri che operano in borghese”. Disponibile da sabato prossimo (14 gennaio) in anteprima streaming su Discovery+ e successivamente sul Nove, le storie di questa stagione sono ambientate nei quartieri più difficili di Bologna, Roma (Ostia), Caserta e Bari.
Com’è nata l’idea di “Avamposti”?
Molto ha giocata la stanchezza di veder rappresentata la delinquenza, specie quella mafiosa, come un dramma shakespeariano: era chiaro che gli autori di queste operazioni poco sapessero delle strade e dei vicoli al cui interno prospera lo spaccio, la violenza di genere, l’odio innalzato a ragione di vita. Un dato che mi fece riflettere, anni addietro, fu lo scoprire che, nel liceo frequentato da mio figlio, i suoi compagni si chiamassero con i nomi dei protagonisti di una serie televisiva crime ambientata a Roma: alcuni, addirittura, tatuandosi il soprannome di uno dei personaggi. Il voler illustrare il lavoro quotidiano dell’Arma dei Carabinieri, penso sia nato in quel momento.
In quale chiave?
Ho pensato che sarebbe stato importante prendere il cittadino e accompagnarlo in un pedinamento, fargli seguire le fasi precedenti un arresto, conoscere gli uomini in divisa, chi sono, da dove vengono, cosa li muove, le loro aspettative, i loro desideri. Calarsi nelle pieghe della realtà dei militari dell’Arma ha richiesto e richiede tempo, umiltà, dedizione. All’inizio di questo viaggio, si proteggevano, si schermivano, sospettavano: in una parola, non si fidavano.
Entrando nelle case di persone che hanno pendenze con la legge, che impressione ne hai ricavato?
Nel tempo abbiamo constatato come le abitazioni di affiliati alle cosche mafiose, siano esse in Sicilia come in Calabria, Puglia, Lazio o Lombardia, si somiglino tutte, quasi fossero l’una la copia carbone dell’altra. Salta all’occhio il disordine, determinato dai panni sporchi gettati intorno alla rinfusa, magliette appese alla spalliera delle sedie, calzini sotto il divano, mutande e reggiseni impiccati alla maniglia, lavandini pieni di piatti da lavare e pentole accatastate sui fornelli. Le abitazioni sono sopraffatte dal caos con la tv perennemente accesa su reality, video musicali di neomelodici, serie sudamericane, turche e indiane.
E a parte il “colore”?
Scoprire che ci sono luoghi nel nostro paese dove la presenza dello Stato è rappresentata unicamente, drammaticamente, dalle forze dell’ordine. Sacche abbandonate all’incuria di chi dovrebbe amministrare e trovare soluzioni. Buchi neri riempiti dalla malavita, da chi prende a cuore le richieste del cittadino, da chi offre lavoro, ruolo sociale, una parvenza di futuro. È la fotografia plastica della sconfitta della politica.
Come si muovono le organizzazioni criminali?
La mia idea è che il cliente è la base e allo stesso tempo il vertice delle organizzazioni criminali. E’ il cliente a favorire la presenza e la forza di chi schiavizza le ragazze come prostitute, taglieggia il commerciante, si aggiudica al ribasso le gare per gli appalti, costruendo abitazioni fatiscenti e viadotti miserabili che si sbriciolano negli anni, come è successo a Genova. Avamposti aspira a essere il racconto del reale. Accendendo una luce su quegli anfratti oscuri che abbiamo sotto casa, e che spesso fingiamo di non vedere: per ignavia, per timore di dovercene fare carico, per mancanza di senso di responsabilità personale.