In un sistema economico ancora fortemente basato sull’auto con il motore termico, l’andamento del prezzo della benzina è la croce e la delizia dei governi. Ne sa qualcosa il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Quando a giugno del 2022 il prezzo della benzina è salito alla cifra notevolissima per gli Usa di 5 dollari per gallone (3,8 litri) tutti i commentatori politici, sia di destra ma anche sul fronte progressista, avevano previsto la cosiddetta ondata rossa nelle elezioni di novembre, cioè una schiacciante vittoria dei repubblicani sui democratici. Il partito repubblicano puntava a strappare ai democratici, complice l’inflazione, la maggioranza sia alla Camera che al Senato. Poco contava che la disoccupazione fosse con Biden ai minimi storici.

L’inflazione era al massimo da decenni e il suo simbolo era rappresentato dall’impennata del prezzo alla pompa. Per i repubblicani questo era la prova del fallimento economico dell’amministrazione Biden. Nonostante gli economisti progressisti, Paul Krugman fra i primi, documentassero chiaramente che si trattava di un effetto dell’aumento del prezzo del petrolio a seguito della guerra in Ucraina, la campagna della destra americana aveva un grande successo. Poi il prezzo del petrolio è sceso, con esso l’inflazione e il partito democratico si è salvato al Senato.

Un simile copione si è ripetuto anche in Italia quando in estate la benzina ha superato i due euro al litro. Il Presidente del Consiglio ha affrontato la quesitone in maniera pragmatica riducendo le tasse fisse sulla benzina, le cosiddette accise. Dati gli elevati costi, il governo Draghi ha limitato la sua durata alla fine del 2022 e così è stato, con la conseguenza che ora la benzina è tornata sopra i due euro. Che cosa ha previsto su questo punto la finanziaria 2023 della Meloni? Nulla. Il problema è stato semplicemente ignorato e per alcuni mesi il nuovo governo si è avvantaggiato dall’effetto Draghi ma poi, come si dice, i nodi sono venuti al pettine e il prezzo della benzina è risalito – in alcuni casi sopra i due euro.

Che fare allora per tacitare un’opinione pubblica lusingata con ben altre promesse? Il governo ha deciso di fare, per ora, solo una mossa mediatica. Il solito Matteo Salvini si è messo a incolpare fantomatici speculatori, che poi sarebbero i gestori delle pompe di benzina. Che sia loro la responsabilità della benzina così cara? Difficile, perché la quota che va al benzinaio oscilla tra i 15 e 20 centesimi. C’è poco margine per speculare. Il vero speculatore è lo Stato che incassa circa il 60%, tra accise e iva, del prezzo della benzina. Tanto per fare un paragone, negli Usa questa quota è appena del 16%. Un governo di destra che dice a ogni piè sospinto di voler ridurre le tasse avrebbe dovuto seguire la linea Draghi.

Ancora più fantasiosa è stata la soluzione governativa che intende affrontare il problema con un’operazione di trasparenza sui prezzi, cosa che peraltro facciamo ogni giorno noi utenti quando decidiamo dove rifornirci. Non serve a nulla che il governo obblighi i benzinai a esporre un ulteriore cartello con il prezzo medio.

Interessante, ma egualmente sbagliata e anche più pericolosa, è invece la spiegazione che viene dal partito di maggioranza. Per Fratelli d’Italia l’aumento del prezzo della benzina rientra consapevolmente nel progetto di una più incisiva politica sociale. Il ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, ha affermato all’Ansa che: “Il governo ha deciso di utilizzare quelle risorse per aumentare le pensioni minime, per tagliare il cuneo fiscale, quindi tutte misure sociali”. Questa spiegazione è del tutto errata. Il misero aumento delle pensioni sociali è stato più che finanziato con il robusto taglio alle pensioni medie.

Poi la riduzione del cuneo fiscale di 19 euro lordi al mese (nel caso della fascia più bassa) dei lavoratori dipendenti è stata finanziata con il taglio della indennità di vacanza contrattuale dei dipendenti pubblici, che doveva essere del 3,5% e non trasformata in un bonus dell’1,5%, e dunque molto inferiore. Il prezzo della benzina non c’entra nulla. Se vogliamo però dar credito a questa interpretazione, è molto preoccupante che si voglia fare una politica sociale creando inflazione, dal momento che non c’è dubbio che l’aumento del prezzo della benzina sia uno dei primi fattori inflazionistici. Tassare ulteriormente gli automobilisti poi è una pessima idea per l’economia, oltre che ingiustificabile sul piano dell’equità sociale. Su questo punto ha ragione da vendere Forza Italia, che ha espresso dei forti dubbi sulle mosse della Premier.

Giorgia Meloni aveva più volte, quando era all’opposizione, chiesto giustamente la riduzione delle accise. Da premier le ha aumentate perché si è solo ora accorta che le casse dello Stato sono vuote, anche se non per tutti. Che dire di questa ulteriore giravolta: nuova e inedita responsabilità fiscale di chi è stato da sempre all’opposizione chiedendo di tutto e di più, oppure fine della tradizionale ipocrisia elettorale? Di sicuro, la melonieconomics non ci farà annoiare; speriamo che non ci faccia anche deragliare perché le destre che ci governano hanno, in economia, idee diverse e contraddittorie su quasi tutto.

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