Valery Gerasimov posa gli stivali sul terreno. Dopo essere stato sostituito dal colonnello generale Alexander Lapin come capo di Stato Maggiore, colui che fino ad oggi è stato al comando dell’esercito russo guiderà le truppe in Ucraina. Un salto di livello, dicono da Mosca, per garantire “un migliore coordinamento” e una “maggiore efficienza”, ma anche una risposta all’insofferenza dell’ala più dura dei nazionalisti per l’andamento del conflitto, più volte definito insoddisfacente, se non disastroso. Così, undici mesi dopo l’inizio dell’operazione militare e a soli tre mesi dalla nomina a comandante del generale Serghei Surovikin, la Federazione rimescola nuovamente le carte della partita ucraina.

La nomina di Gerasimov a capo delle truppe impegnate nel conflitto contro Kiev è una risposta anche a un altro attore di spicco di questo conflitto: il fondatore del gruppo paramilitare Wagner, Yevgeny Prigozhin, che poche ore prima aveva annunciato la conquista da parte dei suoi miliziani della città di Soledar, nel Donbass, affermando che “nessun’altra unità” aveva partecipato all’impresa. Ma poche ore dopo era stato smentito dal Cremlino. In precedenza era stato il portavoce della presidenza, Dmitry Peskov, a smentire la conquista di Soledar annunciata da Prigozhin: “Aspettiamo, non affrettiamoci, attendiamo dichiarazioni ufficiali”, aveva detto. Per poi far notare che se anche ci fosse la conferma, la vittoria sarebbe semplicemente un “successo tattico ottenuto quando avremo raggiunto gli obiettivi stabiliti dal Comandante Supremo”. Putin, appunto. “Il più alto livello del comando militare” deciso per l’operazione in Ucraina, ha spiegato il ministero della Difesa, è dovuto “all’ampliamento dei compiti” e alla necessità di coordinare non solo le azioni sul campo ma anche “il sostegno logistico” alle truppe. Surovikin, che è capo delle forze aerospaziali, farà da vice a Gerasimov, insieme con il comandante delle truppe di terra Oleg Salyukov e il generale Alexey Kim.

Quella in atto per il controllo di Soledar e di Bakhmut, distante una quindicina di chilometri, è la battaglia “più sanguinosa”, secondo Mykhailo Podoliak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Kiev assicura che sta resistendo e anzi rilancia, dicendosi sicura di poter costringere i russi a ritirarsi dal suo territorio, a patto che la Nato fornisca le armi che finora ha rifiutato di mettere a disposizione dell’Ucraina temendo un coinvolgimento diretto nel conflitto. “Solo i missili con una gittata di oltre cento chilometri ci permetteranno di accelerare in modo significativo la liberazione dei territori”, ha affermato in un’intervista all’Afp Podolyak, dicendosi convinto che in tal caso Kiev risulterebbe vincitrice entro il prossimo autunno. Se i Paesi occidentali forniranno questi missili, gli ucraini si impegneranno a non usarli per attaccare la Russia.

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