“Esplorando l’Antartide in bicicletta, ne ho percepito la grandezza ma anche la delicatezza. Ora posso raccontare in modo veritiero e credibile” la crisi climatica e naturale al Polo, “anche se per molti è lontana”. Omar Di Felice, 41 anni, è un ultraciclista. Da anni con la sua fat bike attraversa i territori più freddi del mondo, dall’Islanda alla Norvegia fino alla Lapponia. Dopo la traversata di 4mila chilometri nell’Artico, a inizio 2022, a novembre l’atleta ha tentato una nuova impresa, mai riuscita ad altri: raggiungere il Polo Sud nel progetto Antartica unlimited, per sensibilizzare, a un mese dalla Cop 27, la conferenza sul clima di Sharm el-Sheikh, sullo stato degli ecosistemi più fragili, compromessi dal surriscaldamento globale. Nonostante l’interruzione della sua corsa, a causa di problemi personali, non rinuncerà a “Bike to 1.5°C”, la serie di appuntamenti di divulgazione sul climate change nei festival scientifici e culturali e nelle scuole, realizzati insieme ai partner scientifici Italian Climate Network ed ESA-European Space Agency.
“Dietro alle mie traversate c’è la volontà di esplorare i miei limiti. L’amore per il mondo si traduce nella scoperta di me stesso e della natura che mi circonda” spiega Di Felice. L’atleta, partito il 27 novembre da Hercules Inlet, in Cile. Sulla sua bicicletta la grafica delle stripes climatiche dello scienziato del clima delll’Università di Reading, Ed Hawkins. Il suo percorso lo avrebbe dovuto portare, dopo oltre 1.200 chilometri al Polo Sud e poi, dopo altri 600 alla base del Leverett Glacier sulla costa opposta dell’Antartide. Il 4 dicembre però, all’ottavo giorno della sua traversata, Di Felice ha dovuto cambiare i suoi piani, a causa di “gravi problemi personali e familiari, che non mi hanno permesso di andare avanti”, ha spiegato in un post su Instagram.
“Esplorare i propri limiti, permette di conoscerli – ha detto a ilfattoquotidiano.it – e capire quando superi la tua soglia di sicurezza oltre la quale è meglio non spingersi”, per affrontare il freddo, la fatica e l’equilibrio precario in sella. “Queste avventure richiedono una preparazione fisica e anche per le altre fasi giornata e per attività come montare una tenda o trainare la slitta”. Anche la serenità mentale è però un aspetto da non sottovalutare. L’estremo meridionale del mondo infatti è una superficie ghiacciata e selvaggia di 14mila chilometri quadrati, dove, “a differenza dell’Artico, non ci sono villaggi di popolazioni locali come Sumi e Inuit”, le temperature raggiungono i -40 gradi e ci sono ventiquattro ore di luce.
“Io ho sempre dato il meglio di me nello stato di solitudine. La natura e più grande di te, ti avvolge e a volte sembra spaventarti. Quando la mente è concentrata su cose più grandi di quello che succede attorno a te però non sei lucido”. In questa avventura, prosegue, “non sono stato in grado di affrontare e di vincere la solitudine e ho dovuto alzare bandiera bianca”. Per questo il ricordo più significativo della traversata è stato “quando ho chiamato i soccorsi, ho messo il naso fuori dalla tenda e ho visto arrivare il twin otter, il velivolo di soccorso, a recuperarmi – ha detto – Allora per magia si è fermato il vento, mi sono trovato solo in questa landa sconfinata di ghiaccio con il cielo azzurro e quella è stata una forte gioia. Finalmente ho visto la bellezza dell’Antartide e questo mi ha fatto dire: ‘Tornerò'”. Nonostante l’interruzione, “il progetto Antartica Unlimited non muore: dopo un periodo di riposo, proseguirò nelle scuole e ai festival con il progetto di divulgazione. Oltre a completare la traversata, ho poi in mente un’altra avventura legata al freddo”.