"Noi non avevamo maggiori entrate, ovviamente", ha sostenuto su facebook la premier, tentando di smentire la contraddizione tra i contenuti del programma elettorale di Fratelli d'Italia e la decisione del governo di non rinnovare lo sconto. I numeri del ministero dell'Economia sulle entrate tributarie dicono il contrario: nei primi 11 mesi del 2022 lo Stato ha incassato 21 miliardi di Iva in più anche per effetto dell'andamento del prezzo del petrolio
“Noi non avevamo maggiori entrate, ovviamente”. È così che, mercoledì sera, Giorgia Meloni ha tentato di smentire che ci sia una contraddizione tra i contenuti del programma elettorale di Fratelli d’Italia e la decisione del governo di non rinnovare il taglio delle accise sui carburanti introdotto lo scorso marzo dal precedente esecutivo. Vero, ha ammesso, che al punto 17 di quel testo (ancora consultabile online) c’è l’impegno alla “sterilizzazione delle entrate dello Stato da imposte su energia e carburanti e automatica riduzione di Iva e accise“. Ma “significa che se hai maggiori entrate dall’aumento dei prezzi del carburante le utilizzi per abbassare le tasse. Noi non avevamo maggiori entrate, ovviamente”, ha sostenuto su facebook. I numeri del ministero dell’Economia sulle entrate tributarie, però, dicono il contrario.
Il programma prevede che all’aumentare dei prezzi, e di conseguenza delle imposte incassate dallo Stato, il maggior gettito sia impiegato per andare incontro ai contribuenti riducendo “automaticamente” Iva e accise della stessa cifra. Il testo descrive il meccanismo dell’accisa mobile di bersaniana memoria, cioè quello previsto già dalla legge di Bilancio per il 2008, in base al quale un decreto del Mef avrebbe potuto disporre la diminuzione delle accise al crescere delle entrate Iva per effetto dell’aumento dei prezzi del petrolio. Che in quel periodo era alle stelle causa scommesse al rialzo nel contesto della crisi finanziaria.
La premier ora sostiene che il governo non aveva le risorse per farlo, considerato che il taglio di 25 centesimi al litro (30 calcolando anche l’Iva) inizialmente previsto da Draghi costava 1 miliardo al mese. Cifra comunque scesa a 600 milioni a dicembre, quando lo sconto è stato ridotto a 18 cent al litro. Ma, in un corto circuito simile a quello per cui le “speculazioni” sui prezzi alla pompa evocate dall’esecutivo sono state prontamente smentite dai dati del ministero dell’Ambiente e dell’Energia, l’affermazione è contraddetta dai numeri del Tesoro pubblicati mercoledì pomeriggio. L’usuale Bollettino sulle entrate tributarie, relativo ai primi undici mesi del 2022, dice infatti che le maggiori entrate ci sono state eccome. In tutto 44,5 miliardi in più rispetto allo stesso periodo del 2021. E le imposte indirette valgono quasi la metà di quell’incremento: “Hanno registrato un incremento di gettito di 20.601 milioni di euro (+10,5%). All’andamento positivo ha contribuito l’Iva, con un aumento del gettito di 20.924 milioni di euro (+16,5%), in particolare la componente relativa agli scambi interni ha evidenziato un incremento di 13.757 milioni di euro (+12,2%), mentre l’IVA sulle importazioni ha registrato un aumento di 7.167 milioni di euro (+52,1%). Quest’ultimo risultato è legato, in larga parte, all’andamento del prezzo del petrolio che è risultato in crescita“. Appunto.
Altra cosa è argomentare che gli sconti sui carburanti – come aveva fatto notare anche l’Ufficio parlamentare di bilancio – avvantaggiano di più chi ha redditi alti e macchine potenti, per cui si è ritenuto giusto concentrare invece i fondi sugli aiuti ai più deboli: “Taglio del cuneo, aumento dell’assegno unico, sanità, taglio delle bollette”, come da elenco della premier. Detto questo, il governo avrebbe potuto ovviamente fare scelte diverse: evitare di inserire in manovra condoni e sanatorie, per esempio, avrebbe consentito di risparmiare quest’anno circa 1 miliardo. Più che abbastanza per riproporre lo sconto di 18 centesimi almeno fino alla metà di febbraio.