Adesso Fratelli d’Italia corre ai ripari: “Siamo di fronte a un mortale colpo di spugna”, dice al Fatto il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, parlando dell’impunità di cui stanno già godendo ladri e sequestratori grazie alla riforma penale dell’ex ministra Marta Cartabia. E assicura che il governo “sta già lavorando“ per cambiare il provvedimento nella parte in cui mette a rischio “la sicurezza dei cittadini“, impedendo di perseguire gravi reati se la vittima non sporge querela. Ma lo scorso settembre, quando il testo era all’esame delle Commissioni Giustizia del Parlamento, soltanto un partito denunciò i rischi a cui si andava incontro. E non era FdI – ai tempi l’unica forza di opposizione – bensì il Movimento 5 stelle. Gli eletti grillini, pur avendo votato (a malincuore) la legge delega, criticarono la scelta del governo Draghi di prevedere la perseguibilità a querela per fattispecie di grande allarme sociale, come i furti aggravati o i sequestri di persona “semplici”. E per questo votarono contro il parere favorevole della maggioranza, proponendone uno alternativo in cui si chiedeva di cambiare quella norma. Mentre i meloniani, che ora si indignano, scelsero di astenersi.
Per contestualizzare la vicenda serve ricordare le date. Lo schema di decreto legislativo, approvato dal Consiglio dei ministri il 4 agosto 2022, viene esaminato dal Senato tra il 6 e il 13 settembre e dalla Camera tra l’8 e il 15, nelle ultimissime sedute della legislatura. Giorni di intensa campagna elettorale, in cui nessuno si interessa del dibattito sui tecnicismi giuridici. A Montecitorio, però, il deputato M5s Vittorio Ferraresi insiste proprio sul pericolo di estendere la procedibilità a querela, avvertendo che è una scelta “sbagliata” per i reati “che si ripercuotono in maniera negativa sulla volontà di agire da parte della vittima, e soprattutto nel caso di reati che prevedono, come evidenziato da alcuni recenti casi di cronaca, minacce e violenze nei confronti della vittima del reato, con comportamenti arroganti e prevaricatori”: ad esempio i sequestri di persona e le violenze private. Come ha spiegato al fatto.it il pm Eugenio Albamonte, infatti, questi delitti “causano una sottomissione psicologica che può rendere molto difficile denunciare”. Nessuno dei quattro deputati di Fratelli d’Italia in Commissione Giustizia, però, dice una parola sul tema o si associa alle argomentazioni del Movimento.
Non solo. All’ultima seduta, quando la Commissione deve votare il parere obbligatorio sullo schema di decreto, il M5s propone un testo alternativo rispetto a quello, favorevole senza osservazioni, del relatore Franco Vazio (Pd). E chiede che il governo “escluda, dal novero delle fattispecie di reato oggetto di mutazione del regime di procedibilità da ufficio a querela, quelle che creano intimidazioni ai cittadini, ripercuotendosi sulla loro volontà di agire per chiedere giustizia (reati di minaccia e violenza), e quelle che per loro natura hanno una maggiore difficoltà di emersione, o anche solo di comprensione da parte delle vittime (reati informatici e truffe), quali quelle relative a: lesione personali, violenza privata, sequestro di persona, minaccia, truffa, frode informatica, turbativa violenta del possesso di cose immobili”. Ma quella proposta non verrà nemmeno messa ai voti, perché la Commissione approverà prima il parere del relatore, con l’opposizione del solo M5s tra le forze di maggioranza. E Fratelli d’Italia? Nel suo unico intervento, il deputato Gianluca Vinci annuncia l’astensione a nome del gruppo. “Non votammo contro perché si trattava di una riforma fondamentale per il Pnrr“, dice ora al fatto.it. Ma approvare il decreto era compito del governo: alla Commissione spettava solo fornire un parere su come migliorarlo. Vinci poi si dichiara “assolutamente d’accordo” con le parole di Delmastro sul “colpo di spugna”: eppure in Commissione il tema non sembrava una priorità per gli eletti del partito di Giorgia Meloni: “Non fecero nessuna battaglia, aderirono completamente allo schema del governo”, ricorda l’ex capogruppo pentastellato Eugenio Saitta, che presentò il parere alternativo.
Stessa dinamica al Senato: nei resoconti non c’è traccia di interventi di Fratelli d’Italia, mentre la senatrice 5s Alessandra Maiorino chiese al relatore di accogliere nel parere le osservazioni critiche sulla procedibilità a querela. La richiesta fu respinta e di conseguenza il gruppo votò contro il documento. Non compaiono dichiarazioni di voto da parte dei meloniani, ma si può presumere che anche in questo caso la scelta sia stata quella di astenersi. Così ora il partito di Giuseppe Conte può rivendicare di aver “lanciato l’allarme, provando a far modificare il decreto” in tempi non sospetti. E sbugiardare Delmastro: “Le sue sono lacrime di coccodrillo“, attaccano le deputate Stefania Ascari, Carla Giuliano e Valentina D’Orso, insieme alla responsabile Giustizia Giulia Sarti. Ricordando che “quando a settembre, in commissione Giustizia alla Camera, c’era da bocciare il parere favorevole al decreto legislativo, Fdi si astenne. Erano già svaniti nel nulla gli slogan legalitari del partito di Giorgia Meloni, già folgorata sulla via della imprecisata agenda Draghi, dell’austerity e dell’impunità. Delmastro con il suo governo aveva la possibilità, nel dl Rave, di modificare la riforma Cartabia, ma non lo ha fatto. Dal sovranismo all’impunità il passo è stato breve. Ora si deve intervenire subito per porre rimedio, prima che sia troppo tardi“.