di Alessio Colletti
“Isis“, “Daesh“, “Kobane“, “Rojava“. Sono parole che, fino a poco tempo fa, eravamo abituati a sentire e nominare quasi tutti i giorni. La caduta (ma non la totale sconfitta) dello Stato Islamico ci ha persuaso a guardare all’instabilità delle terre settentrionali siriane con occhio asettico, freddo, come se i resistenti curdi che hanno tenuto testa ai guerriglieri fondamentalisti non fossero più meritevoli della nostra attenzione, come se le loro centenarie istanze libertarie avessero perso dignità. Un atteggiamento cinico ed inspiegabile, soprattutto in un momento in cui crescono le intimidazioni turche al Kurdistan siriano, nel silenzio dei media e il distacco delle istituzioni europee e statunitensi.
Le origini della questione curda
Nel 1920 il Trattato di Sèvres pone fine all’impero ottomano e impegna le potenze occidentali a creare una nazione indipendente da destinare al gruppo etnico dei curdi, il Kurdistan. Tre anni più tardi a Losanna gli stati europei e la Turchia sottoscrivono un nuovo accordo che delinea i confini contemporanei di Ankara ed accantona definitivamente l’idea di un Kurdistan libero e sovrano, tradendo così le aspirazioni indipendentiste curde.
Da quella data, questo sfortunato popolo resterà diviso fra quattro stati, Turchia, Siria, Iran e Iraq, e sopporterà persecuzioni e maltrattamenti, tentativi di assimilazione forzosa e spietati massacri, fra cui il drammatico genocidio dell’Anfal, opera di Saddam Hussein, costato la vita a più di 100.000 abitanti del Kurdistan iracheno.
Il Rojava e il Confederalismo democratico
Il Rojava è una regione a maggioranza curda, collocata fra la Siria e la Turchia che conta poco più di 4 milioni di abitanti. Qui, sullo sfondo della guerra civile siriana iniziata nel 2011, i ribelli curdi danno origine alla “Amministrazione autonoma della Siria del nord-est” e si dotano della cosiddetta “Carta del contratto sociale del Rojava”, una Costituzione provvisoria che si pone la realizzazione di un obiettivo tanto ambizioso quanto affascinante: la costruzione di una rivoluzionaria entità fondata sui principi del Confederalismo democratico. Il Confederalismo democratico è l’ideologia del leader curdo Abdullah Ocalan, formulata sulla scorta del pensiero del filosofo americano Murray Bookchin. I pilastri principali di questa concezione sono essenzialmente tre:
1. la democrazia diretta, che prevede l’istituzione di assemblee nelle città allo scopo di assicurare la maggior partecipazione popolare possibile garantendo il riconoscimento di tutte le minoranze;
2. il rispetto dell’ecosistema con politiche economiche di sviluppo sostenibile;
3. l’eliminazione di qualsiasi differenza di genere, con la piena parità fra uomini e donne. L’art. 28 della Carta recita: “Uomini e donne sono uguali di fronte alla legge. La Carta garantisce l’effettiva realizzazione dell’uguaglianza delle donne e incarica le istituzioni pubbliche di lavorare per eliminare la discriminazione di genere”.
Un’affermazione inaudita, una sfida inaccettabile per i terroristi dell’Isis, sconfitti soprattutto grazie al sangue delle soldatesse e dei soldati curdi, ma ancora operativi nei territori a confine fra Siria e Iraq.
Le minacce di Erdogan e il silenzio dell’Europa
La ritirata americana del 2019 dal nord della Siria ha consentito all’esercito turco di invadere una fascia significativa di quest’area. Negli ultimi mesi i massicci attacchi aerei di Ankara sul Rojava hanno seminato morte e panico fra i civili, aggravando i problemi umanitari che già affliggono la martoriata regione. Erdogan, da sempre contrario ad uno stato curdo in Medio Oriente, ha minacciato l’occupazione militare di questi territori, con conseguenze terribili per la popolazione.
Ai paesi occidentali la scelta: alzare la voce per una mobilitazione unitaria e risoluta in favore del Rojava o assistere indifferenti alla brutale repressione delle nobili aspirazioni di una coraggiosa comunità, colpevole unicamente di desiderare una società più equa e democratica.