A febbraio 2022, quando è scoppiata la guerra in Ucraina, mio figlio Valerio aveva 23 mesi. Collaboravo (come oggi) con diverse testate e programmi tv, nessun contratto giornalistico, solo la mia cara amica partita Iva. Dovevo decidere in breve tempo che fare: partire come freelance per continuare a seguire una storia che già nel 2016 mi aveva portato in Donbass oppure restare ferma un giro? Ho scelto la seconda.

Sia chiaro: non l’ho fatto perché non volevo lasciare solo Valerio, perché non ci sarebbe stato nessuno in grado di occuparsene, suo padre condivide con me totalmente le funzioni di cura. Ho deciso di non partire perché ero io ad aver ancora bisogno di occuparmi di Valerio, di stargli accanto, di non perdermi una sola delle novità che la sua crescita giorno dopo giorno mi avrebbe regalato.

Non so sinceramente se avrei fatto una scelta diversa avendo alle spalle un gruppo solido come la Cnn. Me lo sto chiedendo da ieri, da quando cioè circola la notizia della polemica su Clarissa Ward, giornalista e conduttrice televisiva statunitense, dal 2018 capo corrispondente internazionale per la Cnn, con un lunghissimo e prestigioso curriculum in zone di guerra. Non c’è dubbio che avere un gruppo di lavoro che ti sostiene e ti riconosce anche tutto il supporto necessario fa la differenza, ma questo vale sempre, non solo se sei incinta. Non solo se sei donna.

Io non sono una giornalista di guerra, non è mai stata questa la mia grande ambizione. Ho un rapporto costante con la paura, anche quando volo. Mi è sempre piaciuto raccontare storie, ovunque queste siano, intercettare i temi della contemporaneità, le sfide epocali che non vogliamo vedere. È questa mia curiosità, non geopolitica, ma per i cambiamenti sociali, per le persone, che mi ha portato – prima della nascita di Valerio – a viaggiare molto, seguendo le storie che mi interessavano in Italia, Africa, Iraq, Russia, Donbass, America, Balcani.

Partire per l’Ucraina significava a febbraio scorso, così come oggi, non sapere quando tornare. Era chiaro che non sarebbe stata una guerra breve. Io non ero e non sono ancora pronta a separarmi da mio figlio per un lungo periodo. Non credo che questo mi renda una madre migliore. Non credo che scelte opposte rendano altre donne peggiori. Non credo che mio figlio mi amerà di più perché oggi ho anteposto lui alla mia carriera. Non credo che questa sia la mia scelta definitiva. Sono costantemente alla ricerca di un punto di equilibrio. Peccato non aver potuto condividere finora tutto questo con un ambiente di lavoro comprensivo.

Mi offende che nel 2023 ci sia bisogno di dare spiegazioni. Mi intristisce che faccia notizia la foto di Clarissa Ward con il pancione in Ucraina. Significa che ci sono ancora tante battaglie culturali da fare. Sono certa che al fronte ci sia almeno un uomo che ha lasciato a casa una compagna in attesa di suo figlio e altrettanti uomini, già padri. Non hanno pance in evidenza da mostrare, ma se questi uomini morissero, quei figli sarebbero comunque orfani. Non mi appassionerebbe nemmeno un dibattito pubblico sulle loro scelte personali. Auspico e mi batto perché nessuno sia chiamato a giustificarsi per come sceglie di vivere. È già tanto faticoso cercare il nostro baricentro. Non abbiamo certo bisogno di gogne pubbliche.

Abbiamo tutti bisogno di sostegno, di essere riconosciuti, valorizzati, per i nostri meriti e talenti. Abbiamo bisogno di essere pagati adeguatamente, di avere sempre dei paracadute, di non essere lasciati indietro. Il caso di Clarissa Ward per me è importante per questo. Mi sembra di aver capito che la polemica su di lei sia partita dagli utenti social che commentando la sua fotografia si sono divisi: alcuni esaltandola, altri condannandola. Non è un dirigente, un’azienda, un’istituzione ad aver sollevato il caso. Non è il capo di Clarissa Ward ad averla ostacolata.

Ora con tutto il rispetto per i social, questo mi rasserena. Ricordo che del popolo social fanno parte anche coloro che negano l’Olocausto o considerano la pandemia una finzione delle case farmaceutiche. Questo per dire che starei attenta a dar troppo peso ai commenti sotto un post. Il team di Ward come lei stessa racconta nell’intervista che ha rilasciato a People, al contrario “… si è impegnato a fondo per individuare tutte le strutture ospedaliere lungo il nostro percorso”. Cioè Clarissa è sul campo con alle spalle un gruppo di lavoro che le fornisce tutto ciò di cui lei ha bisogno. La mette nelle condizioni di lavorare al meglio, fornendo supporto, mezzi, protezione, collaboratori. Questa è la notizia. Ward non è sola.

A maggio scorso Barbara Serra, un’altra bravissima giornalista e conduttrice televisiva con esperienza ventennale nei principali canali all-news internazionali, ha scritto un post facebook per condividere una battaglia che porto avanti con alcune colleghe a favore di una vera parità di genere sul lavoro, anche in ambito giornalistico.

Serra in quel post ha raccontato la sua esperienza di professionista che a quarant’anni, quando è rimasta incinta, si è ritrovata a dover stare ferma per tutelare la sua gravidanza. Ha seguito lo “sfacelo del dopo-Brexit dal divano. L’elezione di Donald Trump dallo stesso divano durante la poppata delle 3 del mattino. Anche se Al Jazeera mi ha pagato in pieno per i primi tre mesi di maternità e tenuto il mio posto di lavoro per un anno, sentivo la pressione che veniva da me stessa anche se non da loro. Sta cambiando il mondo, pensavo, e mi sto perdendo tutto”. Queste parole mi hanno toccato dentro. Le ho sentite familiari.

Al Jazeera non le ha mai fatto mancare il suo sostegno. “Sarò sempre grata ai miei ex datori di lavoro per avermi dato lo spazio che necessitavo”. Mi ha fatto bene incontrarla e parlarle, l’ho sentita vicina. La ringrazio per aver speso una carezza per ciascuna di noi di #Senzagiridiboa.

Ecco, non vorrei perdessimo di vista le questioni fondamentali. Se lasciate sole, le donne continueranno a fare fatica, ad essere discriminate nella vita e sul lavoro. La stabilità contrattuale, la parità salariale, il riconoscimento del valore individuale, sono presupposti indispensabili per essere veramente libere di scegliere. Non vorrei nemmeno che inconsapevolmente favorissimo l’affermazione del paradosso opposto, e cioè che una donna per essere riconosciuta debba fare l’eroe, spingersi oltre ogni limite. Nessuna deve essere giudicata, lasciata indietro: le tante Clarissa Ward e le tante Valentina Petrini.

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