Quasi trent’anni fa ho avuto modo di assaggiare da protagonista il debutto della “questione morale” a sinistra, cominciando dalla “nuova” cultura post-muro per arrivare alle vecchie letture, molte volte mutuate da quelle degli antagonisti politici e sociali, che partiti e corpi intermedi utilizzavano per dare soluzioni concrete alle istanze delle classi popolari. Per questo non mi sono né sorpreso né indignato nel leggere le storie del Qatargate, della miseria umana e politica dei suoi protagonisti.
Non mi sono neanche meravigliato della totale assenza nello pseudo-dibattito congressuale del Pd di qualunque accenno al cancro della corruzione che tutto si mangia: idee, speranze, progetti di cambiamento e di trasformazione della società, di riscatto, di rinascita. Come se non fosse anche cosa loro, come se il perno su cui si costruisce ogni progetto di giustizia non fossero l’onestà, il disinteresse personale, la trasparenza nell’azione, la ricerca dei migliori contributi, la battaglia politica fra tesi e visioni diverse, tutte confluenti nella cura dell’interesse collettivo. Come se fossero tutte cose già assodate, al massimo da stigmatizzare quando salta fuori qualche mela marcia.
Trent’anni fa mi trovai nel mezzo di una tangentopoli targata sinistra, Psi e Pci (poi Rifondazione e Pds), con qualche briciola alla Dc. Si tratta delle vicende collegate alla costruzione di uno dei primi grandi centri commerciali, la Shopville Le Gru di Grugliasco, periferia di Torino. Giovane consigliere d’opposizione, prima di Democrazia Proletaria poi dei Verdi, con pochi disperati raccontavamo di varianti urbanistiche che decuplicavano il valore di aree agricole, di progetti che parlavano di superfici licenziate alla faccia dei massimi previsti dalle leggi in materia commerciale, tutte regolarmente adottate dal consiglio comunale del tempo e ratificate dalla Regione.
Il 9 dicembre del ‘93 arrivò Berlusconi in elicottero a inaugurare il pese dei balocchi. Noi eravamo lì fuori, in fila con i cartelli a ricordare a tutti quelli che entravano su invito che c’era una questione di legalità e una questione morale. Sfilò davanti a noi larga parte della classe dirigente della nascente Forza Italia e anche un bel campionario della sinistra, quella che contava già allora e già allora governava senza tregua quasi tutta la cintura torinese, giusto dove i grandi centri commerciali stavano nascendo come funghi, qualcuno targato Fiat (poi Biscione), qualcun altro Coop.
Quattro giorni prima il sindaco Pci, poi Pds, era stato rieletto al ballottaggio con un sonoro 65% contro la candidata della Lega. Già i giornali davano conto delle indagini della Procura di Torino, cominciava ad apparire qualche nome legato all’amministrazione di Grugliasco, ma lo stesso gli elettori lo votarono. Dieci giorni dopo la gran festa della Shopville – con benedizione del parroco e taglio del nastro da parte di Berlusconi con il neo sindaco accanto – quest’ultimo viene arrestato, temporeggia qualche giorno e poi confessa: lui e una bella fetta degli amministratori della città hanno preso dei soldi per agevolare l’iter del centro.
Probabilmente la corruzione stava anche molto più in alto, qualcuno provò a parlarne, qualcosa emerse dalle inchieste, ma alla fine tutto finì sotto silenzio. Sarebbe bello che i leader nazionali del Pd ancora in pista e che in quel tempo avevano incarichi di responsabilità dicessero finalmente quello che sanno.
Nel ’94 nuove elezioni amministrative: vengo eletto al primo turno raggruppando la sinistra, comincio l’azione di recupero del dovuto che, dopo 7 anni di battaglie, porterà 7,5 milioni di euro nelle casse del comune (il racconto di S. Anzaldi in “Fuori dal Comune. Lo strano caso di una città di 40mila abitanti e del suo sindaco”, Ananke). Mi accorsi ben presto che la lezione non l’avevano proprio capita e la cultura politica che aveva generato scandalo e ruberie non era cambiata, nel mio comune e nel paese.
Sulla scorta delle tangentopoli portate alla luce in quella stagione cominciò una stagione di spinta alla legalità, quella sostanziale capace perciò di cambiare le cose con la forza del rispetto delle regole. Da Libera prese l’avvio Avviso Pubblico, associazione di enti pubblici contro le mafie, mille iniziative fiorirono per promuovere la giustizia in tutte le sue forme, a cominciare da quella fiscale, memorabile la stagione 2007/08 (Ministro Visco) con la pubblicazione degli elenchi dei contribuenti, il primo vero esempio di cittadinanza attiva che si fa trasparenza.
Un pezzo alla volta, tutto è stato smontato: la politica ha da tempo abbandonato la vocazione a farsi interesse pubblico che prevale sull’attività di lobbying e pressione, affrontandole con la trasparenza. Oggi sono pienamente legittimati comportamenti, atteggiamenti e una concezione della democrazia che fa paura e che ha contribuito ad anestetizzare il paese: chi vince prende tutto, complici riforme elettorali liberticide, si prende anche gli eletti, le cariche e le prebende. Quello del politico è diventato un lavoro che richiede un continuo passaggio dalla rappresentazione del ruolo (ricordate i fasci di giornali, l’atteggiamento sempre pensoso e riflessivo, quel guardare gli altri da possessori della verità?) alla vita dura di chi tiene famiglia e necessità di capitalizzare in poco tempo, oltre che accumulare gli strumenti per essere rieletto.
Così l’esperienza, lo spirito di servizio, la cultura del confronto, l’organizzazione e la pratica della democrazia, tutto è diventato zavorra da cui liberarsi quanto prima per muovere alla conquista delle praterie della società dove l’unica legge che vale è quella delle pistole.
Invece di moltiplicare gli sforzi per capire il nuovo, definire una prospettiva adeguata ad affrontare la nuova realtà, la sinistra del nostro Paese ha sposato la cultura degli altri, quella del capitale, condividendone la visione del mondo. L’omologazione ha contribuito ad abbattere le residue barriere al malcostume e alla corruzione. Di scandali e scandaletti ne vedremo ancora (per fortuna c’è la polizia belga); spiace che la sistematica sottovalutazione del modo con cui la sinistra ha generato questo ceto politico mostruoso finisca per contribuire alla devitalizzazione del paese. Così si legittimano scandali e comportamenti fascisteggianti della destra: in tanti a sinistra li deplorano, già pronti a farli loro appena si presenta l’occasione.