La notizia, arrivata da funzionari della Casa Bianca non meglio specificati, è stata rilanciata dai media internazionali dopo Capodanno: Evgeny Prigozhin, il miliardario che ha ammesso di essere il fondatore della Wagner – il più potente gruppo di mercenari russo, impegnato su diversi fronti caldi nel mondo, incluso quello ucraino -, concentrerebbe le sue truppe attorno alla città di Bakhmut perché è interessato a prendere il controllo del locale bacino minerario di sale e gesso.
Ma è davvero così? Intanto, le miniere a cui fa riferimento la gola profonda sono quelle di Soledar che si trovano nell’omonimo sobborgo di Bakhmut nell’oblast di Donetsk. Parliamo di 180 chilometri di tunnel posti quasi 300 metri sotto il suolo e con molti ambienti alti 30 metri. Queste grotte artificiali sono per gli ucraini utili per mantenere la linea difensiva ma anche per conservare munizioni in tutta sicurezza e prendere di sorpresa i nemici. Insomma, le miniere di cui parlano a Washington hanno un valore militare che va ben oltre quello economico.
Il caso del Sudan – Ma c’è un altro aspetto trascurato relativo a questa notizia: il compito del Gruppo Wagner, in Ucraina e in altri teatri di guerra non è solo di accrescere la ricchezza di una singola persona, quanto di proteggere gli interessi geostrategici e geoeconomici del Cremlino con strumenti che le sole – e spesso litigiose – agenzie di intelligence russe non hanno. Un caso di scuola è quello del Sudan, dove i mercenari di Putin furono inviati nel 2018 per sostenere militarmente il governo del presidente sudanese Omar al-Bashir, proteggere miniere di oro, diamanti e uranio e consentire alle compagnie russe di operare a condizioni vantaggiose. Ad avere un rapporto privilegiato – e interessato – con l’allora padrone del Sudan, al-Bashir, era lo stesso Putin, la cui protezione era fondamentale per il dittatore di Karthoum, braccato dagli Stati Uniti in quanto protettore di terroristi e dall’Aja per crimini contro l’umanità.
Le accuse dagli Stati Uniti – Gli Usa sono consapevoli che il gruppo Wagner, fondato nel 2014 dallo stesso Yevgeny Prigozhin, stretto alleato di Putin, è innanzitutto potenzialmente rivolto contro di loro e lo tengono d’occhio. Pur non avendolo ancora incluso nella lista delle organizzazioni terroristiche, a Washington hanno accusato i mercenari russi di essere strumento di Mosca per lo sfruttamento delle risorse naturali africane i cui proventi servono a finanziare la politica aggressiva del Cremlino. Un’accusa che a Mosca hanno respinto come “russofobica”. Quindi, quando si parla di motivazioni economiche che stanno guidando l'”ossessione” della Russia e di Prigozhin per Bakhmut, a questo si fa riferimento: al bunker nelle ex miniere e all’uso di uno strumento militare svincolato dagli eredi di Armata rossa e Kgb, ma funzionale e organico alla politica estera e agli interessi geopolitici della Russia.
Gli affari di Prigozhin – Anche se è da poco diventato evidente che i mercenari di Wagner agiscono “in concerto” con le truppe russe, non possiamo dire che i vertici di Wagner siano spuntati da nulla: il loro comandante militare, il tenente colonnello Dmitry Utkin, è stato un ufficiale delle Spetsnaz, le forze speciali dell’esercito. Ma ora, secondo le intelligence occidentali, Wagner non è più una “forza d’élite”, come le Spetsnaz appunto: ha forze qualitativamente inferiori al passato ma numeri importanti, nell’ordine delle decine di migliaia, grazie anche all’arruolamento di detenuti in Russia e altrove. Né Prigozhin è privo di interessi materiali: fonti locali e occidentali sostengono che stia guadagnando più soldi dalle attività mercenarie di Wagner in Africa in cambio dei diritti per estrarre minerali rari che dalla “sponsorizzazione” del governo russo, sotto forma di contratti di catering, di per sé un contratto da un miliardo di dollari. Né i mercenari del Gruppo Wagner rappresentano solo una “legione straniera in salsa russa”: sono sempre più numerose le testimonianze di gravi violazioni dei diritti umani, fra cui lo stupro di neomamme e infermiere in una clinica nella Repubblica centroafricana.
Affamata di risorse naturali e desiderosa di competere con occidentali e cinesi in quei territori un tempo “cortile di casa” dell’Unione sovietica, Mosca, non potendo competere in termini di investimenti economici e infrastrutturali con Washington e Pechino, ha puntato, in modo per il momento non ufficiale, su compagnie militari private, scambiando la protezione di élite locali dittatoriali e isolate con l’accesso a risorse naturali. Così, come sostengono altre fonti americane, è diventato facile per Mosca riempire le proprie casse, senza perdere tempo in snervanti trattative e rischiare capitali: il do ut des con i dittatori è un business lucroso per il Cremlino, più che lo sfruttamento del sale e del gesso ucraini.